Nestore Brunori, notaio a Poggibonsi sul finire del 1800, era anche letterato, storico, in quanto autore di una “Storia d’Italia dall’armistizio di Villafranca alla morte di Vittorio Emanuele II”, e si dilettava pure nel discutere con gli amici di questioni pedagogiche. Da una disputa avuta appunto con due amici nacque un interessante libro di pedagogia dal titolo “Istruzione ed educazione – Una scuola di là da venire”, libro stampato dalla Tipografia Coltellini a Bassi di Poggibonsi nel 1875 che presenta alcuni aspetti veramente innovativi, come denota già in apertura una citazione latina tratta da Seneca e Quintiliano, “Non scholae, sed vitae discendum” (Imparare non per la scuola, ma per la vita).
Il libro è dedicato all’amico Vincenzo Vannini, maestro di canto, ma è rivolto però all’altro amico, del quale il Brunori non rivela il nome, limitandosi ad indicarlo con una X, con il quale aveva scoperto di avere idee opposte in fatto di educazione: rigido e tradizionalista l’amico, aperto alle nuove istanze il Brunori.
Nel libro il Brunori immagina una scuola ideale, che lui stesso definisce “fabbricata dalla mia fantasia nel regno delle nuvole”, se si vuole quindi un po’ utopistica, ma non troppo in realtà. L’idea da cui parte è che la scuola e gli studi non vanno presentati ai ragazzi come un “gastigo”, bensì come un “cibo appetitoso”, che non si devono quindi usare metodi coercitivi per ottenere lo studio, il quale deve essere presentato possibilmente come cosa allettante.
Punto di partenza fondamentale è per il Brunori l’osservazione dell’indole di ogni ragazzo; i ragazzi infatti, osserva, non sono tutti uguali e non si può usare per tutti lo stesso metodo, altrimenti faremmo “come quel medico che cavava sangue a qualsiasi malato per la ragione che alcuni li aveva guariti a forza di mignatte e di lancettate”. C’è già in germe in questa affermazione, se si vuole, la teoria dell’insegnamento individualizzato.
Nemica di ogni buona istruzione e formazione, osserva il Brunori, è poi la fretta. Non si devono precorrere i tempi dello studio, ma rispettare le normali fasi di crescita della personalità, curando sì la mente, ma anche contemporaneamente il corpo. Da qui l’importanza dell’educazione fisica, del gioco, della ricreazione, che devono sempre soprattutto nelle prime fasi di crescita affiancare i progressi della mente: “Niuno di voi sforza i cavalli a portare o a tirare prima che per l’età possano, e volete sforzare i ragazzi a pensare, meditare e ragionare prima che possano?”
L’istruzione non deve essere per il Brunori puro esercizio di memoria: “Mio padre buon’anima andava in visibilio quando mi sentiva straziare qualche sonetto, qualche canzone e anco, nientemeno, qualche canto di Dante…Da questa continua tortura avvenne che quella po’ di memoria che pareva dovessi avere non mi volle servire un corno quando ve n’era il più urgente bisogno…” Un bravo genitore deve bilanciare severità e permissivismo e non eccedere in entrambe le cose. Spesso, osserva il Brunori, la vita nelle scuole, nei convitti, è ripetitiva, fatta di regole uguali giorno dopo giorno. I ragazzi hanno invece bisogno di esperienze varie e molteplici.
Brunori valuta molto positivamente l’opera delle scuole elementari comunali, utili specie per la povera gente, mentre i ricchi di solito preferiscono mandare i figli in quelle “scuolucce nelle quali spesso è preposto all’insegnamento o qualche prete o qualche vecchia pinzochera che, non avendo niente da fare, si son presi l’incarico di guastare la gioventù”. E molti ricchi, continua, si affidano ad istituti dove “il fulgore è cagionato dall’orpello e non dall’oro.”
L’insegnamento, ripete quasi ossessivamente il Brunori, deve essere attuato nel modo più piacevole possibile e attraverso l’esperienza materiale. Dalla semplice osservazione del lavoro di un falegname un alunno può ricavare idee e competenze, ad esempio, per fabbricarsi da solo i propri giocattoli.
Tra maestri ed alunni l’ideale è che si instauri un rapporto di fiducia, confidenza e dialogo, che preveda non autoritarismo, ma autorevolezza da parte del docente: “guai se il maestro non giunge ad ottenere quell’autorità di fatto di essere creduto nelle sue parole, rispettato nelle sue azioni, ubbidito nei suoi comandi”.
La scuola ideale del Brunori deve collocarsi all’aperto, possibilmente a contatto con la campagna, dove si possa curare sia la mente che il fisico: “mens sana in corpore sano”, insomma. Dovrebbe essere aperta al mondo esterno, ospitare persone, organizzare incontri, assemblee, conferenze, rappresentazioni teatrali, dibattiti pubblici, feste, viaggi di istruzione. I ragazzi dovrebbero farsi redattori poi di un giornalino settimanale, che potrebbe servire di stimolo per loro a scrivere bene e correttamente.
Una cosa importante è l’educazione “al bene”: il ragazzo deve imparare a “vincere se stesso”, cioè i propri istinti egocentrici ed egoistici. Questo, osserva, si apprende da fanciulli e se la voce del bene si impara a quell’età “risuona poi anche nella solitudine della vecchiaia”. Le novità pedagogiche del Brunori non si fermano qui, ma riguardano anche l’insegnamento della grammatica, che non dovrebbe essere mnemonico e ripetitivo, ma basato sull’esercizio e l’ascolto del “parlar bene” e sulla lettura di autori di letteratura.
Ma, cosa più importante di tutte, il Brunori sogna una scuola per tutti, non solo per i più avvantaggiati dalla condizione sociale, quando scrive: “Nessuno deve essere escluso dal sapere”, perché chi non conosce la lingua, il calcolo, il disegno ecc. “è un uomo mozzo e imperfetto”. Tante idee premonitrici di quelle che pedagogisti di ben più grande fama avrebbero poi lanciato e sostenuto nei decenni a venire. Tutto questo nella nostra piccola Poggibonsi.