Rocco Verì, dottore per la quinta volta all'Unifi a 92 anni

Rocco Verì, dottore per la quinta volta all'Unifi a 92 anni
rocco verì
La storia di Rocco Verì che nello studio universitario ha trovato una ragione di vita

ra i posti dove ho lasciato il cuore c’è la Tanzania con la sua natura incontaminata e i suoi parchi meravigliosi, a partire dal Kilimangiaro, ma il clima migliore al mondo l’ho trovato nello Sri Lanka dove gli inglesi, grazie a una temperatura sempre primaverile, hanno realizzato delle piantagioni di tè da restare senza fiato”.

Ascoltare Rocco Verì, abruzzese di San Vito Chietino, è come intraprendere un viaggio senza sosta nel tempo e nello spazio – “durante gli anni della guerra e fino alla seconda liceo ho frequentato le scuole senza che ci fosse la corrente elettrica” – e nel quale ogni tappa corrisponde a una sorpresa. “Ma lei lo sa che nello Zaire nei periodi di pioggia, bastava arare il terreno per pescare dell’ottimo pesce?”.

Alla soglia dei 92 anni, il prossimo 8 giugno, Verì conseguirà la laurea magistrale in Scienze e tecnologie alimentari, entrando di fatto nella storia dell’Università di Firenze. Nessuno, presso l’Ateneo fiorentino, ha mai raggiunto un traguardo analogo alla stessa età. Peraltro, nel suo curriculum, Verì conta già quattro titoli: una laurea in Scienze agrarie presa nel 1961, una in Agricoltura tropicale e subtropicale nel 1998, una in Produzione animale a indirizzo tropicale nel 2004 e una in Viticoltura ed enologia nel 2011. Tutte ottenute presso Unifi.

Soffermarsi solo sui numeri (114 esami sostenuti in Ateneo) significa tuttavia non restituire la bellezza di un percorso, certamente straordinario, dove l’amore per la conoscenza – animato anche da 14 anni trascorsi in Africa e dall’insegnamento nella scuola pubblica-  ha avuto un ruolo decisivo.

Che cosa l’ha spinta a mettersi in gioco, perché tornare all’Università?

Sei anni fa è mancata mia moglie. Non riuscivo a darmi pace, non ero sereno, poi ho pensato all’Università.

Mi sono iscritto senza perdere mai una lezione e questa scelta mi ha ridato equilibrio e permesso di allontanare cattivi pensieri. Ed è stata la mia salvezza.

Ripartiamo dall’inizio, professore. Come avvenne la scelta di Firenze?

Fu per via di una suora del mio paese che fu mandata qui … questo facilitò anche il mio trasferimento. E poi ero un grande appassionato di storia dell’arte per via degli studi classici fatti al liceo.

Scelse però Scienze agrarie, come mai?

In realtà avrei voluto iscrivermi a Medicina, ma la guerra per me ragazzino fu un trauma profondo e dal momento che mio padre era un piccolo proprietario terriero intrapresi quel percorso. Conclusi gli studi, ma senza grande soddisfazione. Mi iscrissi allora a Farmacia e contemporaneamente decisi di frequentare un corso all’Istituto Agronomico per l’Oltremare che mi aprì le porte della cooperazione internazionale. La prima missione fu in Tanzania e durò tre anni. Poi ci sono state il Marocco, il Congo e la Libia. 

Perché poi rientrò in Italia?

Fu una decisione che prendemmo con serenità insieme a mia moglie. Dopo tanti anni, trascorsi all’estero sentivamo la necessità di mettere radici. A Firenze, dove ci eravamo conosciuti, ripresi la professione di insegnante, che avevo già esercitato, prima al liceo Pascoli, poi allo scientifico Castelnuovo e infine al classico Galileo Galilei.

Quando si è iscritto a Scienze agrarie era il 1957, da allora sono passati sessantacinque anni. Com’è cambiata a suo avviso l’Università da allora a oggi?

Ai miei tempi era senz’altro più selettiva, gli esami erano più difficili, c’erano lo sbarramento e l’obbligo di frequenza. Oggi credo che le cose siano più semplici, ma nel mio percorso recente ho incontrato tantissimi ragazzi, “i miei nipotini”, molto preparati e motivati a fare bene.

A proposito, com’è stato il rapporto con i “colleghi” del suo corso?

Ho trovato dei giovani meravigliosi, educati e rispettosi. Non è vero che le nuove generazioni sono indifferenti e concentrate su se stesse, troppo spesso si esagera sul loro conto, la mia esperienza è stata incoraggiante e nel complesso molto positiva.

Cosa pensa possa rappresentare la sua esperienza per i ragazzi?

I ragazzi che ho conosciuto mi hanno sempre detto che rappresento un esempio per loro e non nascondo che mi abbia fatto enormemente piacere, ma io ho sempre studiato, non ho mai smesso in tutta la mia vita, perché sono stato sempre curioso. Se questa mia storia potrà servire da stimolo a qualcuno, sarò felice.

Articolo di Romeo Perrotta pubblicato su Unifimagazine.it

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