Poggio Bonizio, i suoi mercanti imprenditori, lo ''stupor mundi'' e Pier delle Vigne

Poggio Bonizio, i suoi mercanti imprenditori, lo ''stupor mundi'' e Pier delle Vigne
i mercanti di poggibonsi
La breve storia della città di Poggio Bonizio, che dura poco più di un secolo (dal 1156 al 1270) è, come noto, segnata, spesso negativamente, dalle continue rivalità e dai conflitti che si accendono spesso tra Siena e Firenze

Ventura, Perfetto, Bongiovanni, Bonzolino, Adelmasco di Adelmasco: questi i mercanti di Poggio Bonizio che nel 1239 ricevono dall’imperatore Federico II licenza di esportare una notevole quantità di grano dalla Sicilia, dei quali il canonico Francesco Pratelli si rammarica nel suo celebre manuale di storia di Poggibonsi di non poter rivelare il nome per non aver potuto consultare il relativo volume di atti presso la biblioteca nazionale di Roma. Noi siamo oggi più fortunati e attraverso la digitalizzazione di molti documenti abbiamo potuto conoscere tali nominativi.

La breve storia della città di Poggio Bonizio, che dura poco più di un secolo (dal 1156 al 1270) è, come noto, segnata, spesso negativamente, dalle continue rivalità e dai conflitti che si accendono spesso tra Siena  e Firenze. Questo, specie nei primi decenni di vita della città, nuoce in parte alla sua autonomia, come pure alla sua prosperità economica. Le cose sembrano migliorare per Poggio Bonizio con l’ascesa al trono imperiale  di Federico II di Svevia, una delle figure più significative del basso medioevo e controverse nello stesso tempo: “stupor mundi” per alcuni, incarnazione dell’Anticristo per altri; persona di elevatissima cultura, capace di parlare sette lingue, esperto di letteratura, come di filosofia, come di scienza, innovatore sul piano dell’amministrazione statale e della legislazione, tollerante verso le religioni altrui e le altrui culture e deciso  insieme nel reprimere le eresie, generoso con i propri sudditi fedeli, quanto terribile nel punire i ribelli, fedele alla religione cristiana e protagonista di una travagliata e, tutto sommato, fortunata crociata, incoronato più volte da alti prelati e perfino dallo stesso papa, ma scomunicato, nonostante ciò, ben tre volte dalla Chiesa cattolica.

E’ proprio in occasione dell’incoronazione di Federico II a imperatore avvenuta nel 1220 che il comune di Poggio Bonizio manda  i propri ambasciatori a Roma, sul Monte Mario, dove Federico ha posto l’accampamento, a chiedere protezione e insieme indipendenza. E Federico II con uno specifico e lungo atto, che qui non possiamo riportare per ovvi motivi, concede a Poggio Bonizio la possibilità di eleggere propri consoli e piena giurisdizione sul castello e suo territorio. Vengono al contempo annullati tutti gli atti precedenti di cessione ed acquisto di diritti su beni di Poggio Bonizio, e in particolare sull’ottava contrada della città, detta “Senese”, fatti dal conte Guido, come pure dalle città di Siena e Firenze. Tale ottava contrada viene assegnata ora definitivamente in piena proprietà al comune di Poggio Bonizio. In cambio il comune di Poggio Bonizio  si impegna  a concedere il diritto dell’albergaria all’imperatore durante i suoi eventuali passaggi, come pure alla sua imperiale consorte, si impegna a fornire milizie in caso di necessità di appoggiare la causa imperiale e paga  alla cassa dell’imperatore 500 libbre di denari pisani e annualmente altri 80 marchi d’argento. Federico II avverte nell’atto che  qualora qualcuno o qualche comune vicino osasse non rispettare tali decisioni, sarebbe costretto a pagare 1000 libbre d’oro come penale, di cui metà andrebbero alla cassa imperiale e l’altra metà a chi dovesse subire il torto, e cioè in questo caso al comune di Poggio Bonizio. L’atto è redatto da Corrado, vescovo  di Spira, e trascritto dal protonotaro imperiale Enrico il 25 novembre 1220 alla presenza, come testimoni, del patriarca di Aquileia,  dell’arcivescovo di Magonza,, di quello di Ravenna, del vescovo di Padova, del duca  di Baviera, del marchese del Monferrato, del marchese Corrado Malaspina e di altri dignitari di corte.

Poggio Bonizio diviene di fatto con tale carta una città sotto protezione imperiale e questo la mette certamente più al sicuro dalle pretese di Siena e Firenze e dalle loro reciproche contese, che tuttavia continuano a connotare anche  questo periodo. Anche l’economia di Poggio Bonizio può tirare un respiro di sollievo e svilupparsi in relativa sicurezza, pur con tutti gli obblighi militari che l’alleanza con l’imperatore comporta. Nel 1237, ad esempio,  Federico II combatte una decisiva battaglia a Cortenuova per domare i comuni dell’Italia settentrionale che non vogliono sottostare alla  sua dominazione. Non sono reperibili documenti riferibili alla nostra città, ma è difficile immaginare  che anche soldati di Poggio Bonizio non abbiano fatto parte del contingente di milizie raccolte in Toscana tra le città alleate dell’imperatore da Gaboardo di Arnstein per dar man forte alle truppe imperiali.

resti della Chiesa di S.Agostino in Poggio Bonizio 

La fedeltà all’imperatore è alla base forse anche dell’atto di cui si parlava in apertura, datato 27 novembre 1239 e redatto in Cremona, dove Federico II era accampato. Con tale atto si dà facoltà ai su citati mercanti-imprenditori poggibonizzesi, che quasi sicuramente si servivano per i loro traffici di navi pisane, di  esportare dai porti di Palermo e Trapani 1000 salme di grano dell’ultimo anno. Per tale carico i mercanti avevano sborsato, si dice nell’atto, alle casse imperiali 433 once d’oro ed erano stati liberati da ogni gravame di dogana o di diritti portuali. L’atto di commercio è accompagnato  anche da  un’ apposita lettera  indirizzata al segretario imperiale di Palermo Obberto Fallomonaco perché provveda ad erogare il grano dovuto  ai suddetti mercanti, dietro normale ricevuta.

I buoni rapporti con l’imperatore, e i buoni affari, proseguono ancora per un po’, ma nel 1245 arriva una nuova tegola, ossia la terza scomunica dell’imperatore, questa volta comminata dal papa Innocenzo IV, dopo l’affronto subito dal papa Gregorio IX nel corso della battaglia dell’Isola del Giglio, a rinfocolare la fazione guelfa e dare nuovo impulso alle ribellioni delle città  settentrionali. E’ così che dal comune di Poggio Bonizio  parte una lettera diretta all’imperatore che si trova a Cremona per conoscere lo stato della sua salute, ma soprattutto quella dell’impero. Federico II risponde benevolmente e quasi paternamente  ai suoi fedeli sudditi di Poggio Bonizio con una lettera del novembre 1245 nella quale rassicura circa lo stato delle cose, dicendo che ha il pieno controllo della situazione, che vive tranquillamente e felicemente a Cremona, che ha spedito recentemente suo figlio Enrico, re di Sardegna,  a domare un focolaio di ribellione scoppiato a Reggio, dopo quello di Parma, che la repressione è stata repentina, quanto spietata, con un centinaio di decapitazioni eseguite sulla pubblica piazza, a monito di chi oserà ribellarsi ancora.

resti della Chiesa di S.Agostino in Poggio Bonizio

Cinque anni dopo l’imperatore muore. Poggio Bonizio, legata ormai alla causa ghibellina, ne subirà, come sappiamo,  le tragiche conseguenze, specie dopo le sconfitte del partito ghibellino a Benevento (1266), Tagliacozzo (1268), Colle Val d’Elsa (1269).

Il legame tra Poggio Bonizio e lo “stupor mundi” è testimoniato anche da altre note, come la presenza  nel 1220 a Poggio Bonizio di Corrado di Spira, rappresentante dell’imperatore, quella dello stesso imperatore, più volte transitato per Poggio Bonizio, e quella, negli anni 1240/42, del conte Pandolfo di Fasanella, legato imperiale, che in Poggio Bonizio prende molte decisioni a nome dell’imperatore e redige vari atti.

l’episodio dantesco di Pier delle Vigne in un’illustrazione di Gustave Doré

Ma lo stretto rapporto  di fiducia tra Poggio Bonizio e Federico II è testimoniato soprattutto da ciò che accade un anno prima della morte dell’imperatore, nel 1249, quando lo storico protonotaro imperiale Pier delle Vigne, di dantesca memoria, cade in disgrazia, accusato di tradimento e viene fatto accecare dall’imperatore, fatto che lo indurrà quindi al noto suicidio. Bene, a prendere il posto del “traditore”, Federico II chiama proprio un poggibonizzese, tale Giacomo da Poggio Bonizio, già notaio di Pandolfo di Fasanella, a testimonianza della fiducia che l’imperatore nutriva verso gli uomini della nostra città.

In copertina: l’imperatore Federico II

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