Nel piccolo cimitero di campagna di S.Lucchese, appese al muro che costeggia il loggiato, ci sono alcune vecchie lapidi funebri, affatto anonime come le attuali, che narrano invece note di vita della persona scomparsa mettendone in evidenza le buone qualità, che raccontano a volte storie belle e tragiche di vita e di morte, le quali, come illustrato nel carme “Dei sepolcri” del Foscolo, servono forse in qualche modo a coltivare l’illusione di un briciolo di immortalità, a beneficio di coloro, parenti, amici, che sono ancora in vita.
“Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna”, scrive infatti il Foscolo nei Sepolcri, riprendendo il tema a lui consueto e caro dell’ “illacrimata sepoltura”. Ma laddove qualcuno potrà recarsi sulla tomba a stabilire una corrispondenza affettiva tra la vita e la morte, quanta ragione c’è da parte dello scrittore nel criticare l’editto di Saint Cloud, che rischiava di togliere agli uomini anche questa minima consolazione!
Tra le varie lapidi lì presenti, nel cimitero di S.Lucchese, ce n’è una che mi coinvolge personalmente e quindi anche emotivamente, perché parla dei genitori della mia nonna materna, Maria Stella Ghini e Pietro Fusi, “sposi affettuosissimi”, come inciso sulla pietra, contadini in un podere di Pian dei Campi, scomparsi insieme a venti giorni di distanza l’una dall’altro, “da crudo morbo colpiti”, la prima dal tifo, malattia pressoché endemica, viste le condizioni igieniche delle case di campagna di fine ottocento, ma anche dei centri abitati, e l’altro da un “mal di petto biliare”, come sentenziò il medico mandato a prendere con il calesse quando ormai le condizioni del pover’uomo erano critiche, anche se tutti dissero che era morto per il dispiacere della scomparsa della moglie.
Si erano voluti veramente bene Pietro e Maria Stella, tanto da sfidare la volontà del padrone che, novello Don Rodrigo, si era opposto alla loro unione dicendo anche lui, senza bisogno dei bravi, che quel matrimonio non s’aveva da fare, in quanto l’ampiezza del podere non prevedeva, secondo le sue stime, un aumento di personale. Così i due avevano lasciato Pian dei Campi per andare a vivere a Staggia, arrangiandosi alla meglio con lavori precari, a giornata, pur di dar seguito al loro amore. Poi, passata la bizza padronale, avevano potuto far ritorno a casa, riprendendo la loro attività nel podere ed avevano avuto sette figli, alcuni dei quali non sopravvissuti al primo anno di vita, come accadeva di frequente allora. Alla nascita di Ottavina, la mia nonna, così chiamata, appunto, perché ottava della serie, ecco la tragedia, l’epidemia di tifo e la morte di Maria Stella, una donna bellissima, a quanto si racconta, e, dopo poco, del marito. Da ragazza Maria Stella era riuscita a stento a sfuggire a un tentativo di stupro da parte di un negoziante di paese, un giorno che era andata a portare le uova e che questi, con una scusa, l’aveva fatta passare nel retrobottega.
Pochi anni dopo questa duplice tragica morte, nei primi anni del novecento, arrivarono a Poggibonsi i primi vaccini antitifo. ? il dott. Azeglio Castellini, ufficiale sanitario di Certaldo e in stretto contatto con il prof. Achille Sclavo di Siena e il suo laboratorio, che ce ne parla in una relazione apparsa sulla Rivista di Clinica Medica dell’anno 1905. Il Castellini, dopo aver raccontato la sua personale esperienza di vaccinazione eseguita in loc. Fiano, presso Certaldo, riferisce come a Poggibonsi, dal 2 al 20 settembre 1904, il prof. Pellegrino Triglia e il dott. Galileo Mazzuoli inocularono 28 vaccinazioni antitifo, delle quali alcune applicate al personale, quattro infermieri e una suora, del locale ospedale. Questo l’elenco delle prime 28 persone di Poggibonsi che ricevettero il vaccino contro il tifo, con relativa professione:
Nome | età | professione |
Giulia Mazzuoli | 36 | possidente |
Simone Mazzuoli | 38 | possidente |
Annina Vannetti | 17 | domestica |
Antonio Bagnoli | 26 | infermiere |
Isola Poggiali | 36 | infermiera |
Pellegro Lorini | 26 | macellaio |
Francesco Pedani | 25 | stacciaio |
Umberto Brogelli | 26 | macchinista |
Luigi Nannoni | 40 | conciapelli |
Giuseppe Martini | 32 | bracciante |
Vittorio Vanni | 44 | possidente |
Maria Vanni | 40 | possidente |
Candido Vanni | 17 | studente |
Isola Canocchi | 48 | possidente |
Giuseppa Bagnoli | 23 | attendente a casa |
Carlotta Banchi | 28 | possidente |
Emilio Cini | 31 | infermiere |
Annita Consortini | 19 | possidente |
Felice Pacini | 34 | infermiere |
Luisa Giamioni | 36 | suora |
Gustavo Bianciardi | 49 | custode ospedale |
Dario Novi | 27 | uff. stato civile |
Giuseppe Delle Case | 28 | dottore in legge |
Alfredo Casini | 28 | possidente |
Arduina Galassini | 29 | sarta |
Elvira Mecatti | 24 | infermiera |
Annina Giamioni | 29 | sarta |
Assunta Pagi | 39 | lavandaia |
Il vaccino sembrò dare buoni risultati, con alcuni leggeri effetti collaterali, che di solito si manifestavano dopo la seconda iniezione, con rossore della pelle, aumento lieve della temperatura, che saliva oltre i 38° solo in qualche sporadico caso. Tali effetti collaterali regredivano poi fino a scomparire del tutto nell’arco di un paio di giorni.
Restò comunque grave il problema dell’igiene pubblica, con le strade a volte piene di immondizie varie e di letame, con le merci, anche di genere alimentare, esposte fuori al sole dai negozianti senza precauzioni di tipo igienico di sorta, con i lattai che versavano il latte da imbuti vecchi e rugginosi e via dicendo. Molto ebbero da fare le autorità comunali, le guardie, ma soprattutto i medici, che tennero anche alcune lezioni pubbliche, perfino nei luoghi di campagna, sulle principali norme di igiene, al fine di contenere e possibilmente evitare le epidemie, soprattutto di tifo e di colera.
(V. Burresi-Minghi: Poggibonsi dal primo novecento al fascismo - 2016; Rivista di Clinica Medica, anno VI n.40-41-42 1905)
Nelle immagini: la basilica di San Lucchese a Poggibonsi; frontespizio dell’estratto dalla Rivista di Clinica Medica del 1905 che riporta la relazione del dott. Castellini.