Poggibonsi nelle novelle di Franco Sacchetti e Pietro Fortini

Poggibonsi nelle novelle di Franco Sacchetti e Pietro Fortini
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Due autori del '300 e del '500 hanno ambientato due loro novelle in osterie del nostro territorio

Poggibonsi, punto di incontro di molteplici e importanti strade, ha sempre registrato il passaggio di viandanti, mercanti, pellegrini, girovaghi, viaggiatori di ogni tipo e dentro le sue mura, ma anche negli immediati dintorni, ha sempre avuto un notevole numero di osterie, locande, bettole, alberghi. Vi confluivano la Regia Romana, la Romana Traversa da Pisa e si diramavano poi dal paese altre importanti strade di comunicazione  per Massa Marittima, per  S.Gimignano e Volterra, per Castellina in Chianti.

Non meraviglia perciò il fatto che anche nei pochi riferimenti letterari che hanno per oggetto la nostra città venga messo in evidenza questo aspetto, di centro stradale, e ricorra quindi come una costante quella dell’osteria o della locanda. Già lo abbiamo verificato in occasione di un precedente articolo dedicato alla celebre “Novella del tedesco ubriaco” di Adriano Bancheri, autore vissuto tra il XVI e il XVII secolo, la cui vicenda si svolge, appunto, a Poggibonsi, presso “l’osteria di Nanni, all’insegna delle Chiavi”.

Altri due autori però avevano precedentemente ambientato due loro novelle in osterie del nostro territorio. La prima novella ha come teatro Staggia, allora comune autonomo, anch’esso centro di transito sulla via per Siena. Si tratta della n° XVI della  celebre raccolta  “Trecentonovelle” di Franco Sacchetti, autore del ‘300, dalmata di origine, ma fiorentino di adozione.

La novella racconta di un ricco senese che in punto di morte rivolge al suo unico figlio tre raccomandazioni: di non esser solito frequentare troppo certe  persone fino al punto di pentirsene, di non pretendere di guadagnare troppo oltre il lecito e soprattutto di non cercare moglie lontano da casa, in altre città. Bene, accade però che il ragazzo non osserva i primi due consigli paterni;  non solo, dopo aver avuto modo di pentirsene, non rispetta nemmeno il terzo. Non trovando infatti a Siena e dintorni una donna che faccia al caso suo, capita un giorno a Pisa, per affari, presso un notaio, che conosce come vecchio amico del padre. Ma tale notaio è parente dei Lanfranchi pisani, che hanno in famiglia una ragazza ormai disonorata, avendo avuto molte relazioni con vari giovani di Pisa. Il notaio, approfittando dell’apparente ingenuità del giovane, gliela presenta e  rifila come vergine pulzella ed organizza quindi  il suo trasferimento a Siena, tramite un giovane pisano, ex-amante della stessa. Per strada però  il giovane senese scopre la tresca, quando la comitiva si ferma per riposare in una locanda di Staggia. Qui il giovane senese finge di dover anticipare all’alba il suo cammino per Siena, ma fatti pochi chilometri torna alla  locanda, trova la sua aspirante moglie a letto con il giovane pisano  ed entrando di soppiatto nella stanza, ruba le brache dell’uomo, che esibisce poi come prova del tradimento. La donna viene così rispedita a Pisa ed il giovane ha modo di constatare per la terza volta la saggezza delle parole del genitore.

Finale triste, invece, per la novella di Pietro Fortini, autore senese del ‘500, imitatore del Decameron del Boccaccio, che narra la storia di un giovane nobile di Siena, il quale, dopo aver combattuto in guerra per la causa imperiale, decide di non far subito ritorno a casa e si ferma quindi a Lucca, dove entra come alfiere nella guardia cittadina. A Lucca, in via dei Gigli, si trova la casa della facoltosa famiglia lucchese di Niccolò Provinciali, il quale ha tre figlie in età da marito, ma non ha alcuna intenzione per il momento di maritarle, forse per via della dote cui dovrebbe  pensare. Ora, essendo morta la madre ed essendo affidate le ragazze ad una fantesca, scrive il Fortini, “alquanto le fanciulle  s’erano svagolate con farsi vedere più che l’onesto alle finestre”.  E così accade che il bell’alfiere senese, passando sotto tali finestre, s’innamora della mezzana delle tre fanciulle, madonna Orietta, alla quale  riesce a comunicare  il suo amore tramite una vecchia che è solita frequentare la casa dei Provinciali. E siccome l’amore a nullo amato amar perdona, anche la ragazza si innamora follemente del giovane. Se ne innamora così tanto da organizzare una fuga dalla casa paterna per raggiungere l’innamorato che nel frattempo è dovuto rientrare a Siena.  Usava allora che per certe feste le tre ragazze “andassero in villa”, presso Vorno, dove il ricco lucchese aveva una tenuta di campagna. Così avviene in un giorno festivo e le ragazze passano in campagna un’intera giornata a cantare e ballare, finché, stanche, se ne vanno a dormire. Orietta però, sebbene stanca anche lei, non dorme, trova modo di scavalcare una finestra e, aiutata da un amico senese del suo innamorato, mandato da questi allo scopo, si mette in viaggio, a cavallo, in direzione di  Siena.

Per strada i due si fermano a Poggibonsi, presso una locanda, dove la ragazza dorme in compagnia dell’ostessa. Poi, al mattino riprendono la strada. Ma intanto la notizia della fuga è arrivata fino a Lucca, dove il padre e il fratello di Orietta si mettono subito sulle tracce dei fuggitivi. Mandano alcune persone verso Pisa ed altre  verso Firenze alla ricerca dei due, mentre loro si incamminano al galoppo verso Siena. Giunti a Poggibonsi sul far del mattino, si fermano alla stessa locanda che aveva ospitato i fuggitivi e riescono a sapere dall’ostessa che questi erano diretti a Monteriggioni e poi a Siena. Non conoscendo bene il percorso da fare, i due cercano una guida per le strade di Poggibonsi, che possa insegnare loro la strada e la trovano in un certo Girolamo, di Orbetello, che accetta di portarli fino al confine con lo stato senese, ma non oltre, perché lì  è ricercato per alcuni delitti commessi. I due raggiungono quindi Monteriggioni, poi Badia a Isola e alla fine sorprendono Orietta e il suo accompagnatore presso l’osteria dei Mandorli. La ragazza si getta ai piedi del padre chiedendogli di ucciderla pure, se vuole, conscia del disonore che ha gettato sulla famiglia e il primo istinto del padre e del fratello è proprio quello; poi prevale la pietà paterna e la povera Orietta viene riportata a Lucca, dove consuma la sua pena, per finire quindi tristemente la sua vita chiusa in un monastero. Anche il giovane senese, venuto a sapere della fallita fuga e della fine di Orietta non se ne dà pace. Almeno per un po’… Per la donna a quei tempi la sorte era molto più dura.

In copertina: Poggibonsi in una vecchia immagine

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