Poggibonsi, la Rocchetta e l'Acuto

Poggibonsi, la Rocchetta e l'Acuto
la rocchetta e l'acuto
La storia dell’inglese John Hawkwood, italianizzato in Giovanni l’Acuto, scelse la strada delle armi e fu presto a capo della temibile Compagnia Bianca

La sorte dei figli cadetti nel basso medioevo era di solito segnata: si poteva intraprendere la carriera ecclesiastica, ma quando il temperamento non era portato né alla meditazione né alla preghiera, restava l’opzione della ventura e delle armi. La Guerra dei 100 anni in particolare servì a raccogliere intere bande di avventurieri, che poi, nei momenti di stasi delle armi, dilagarono per la Francia e l’Italia organizzati in compagnie di ventura.

Anche l’inglese John Hawkwood, italianizzato in Giovanni l’Acuto, scelse tale strada e fu presto a capo di una sua compagnia, la ricostituita e temibile Compagnia Bianca, prima diretta dal tedesco Sterz, così detta dal colore delle armature indossate e delle insegne.

In Italia le continue contese tra comuni, tra partiti e tra fazioni, avevano già favorito fin dal sec. XIII il ricorso anche ad alcune truppe mercenarie. Nel XIV secolo tale ricorso divenne un po’ un’abitudine, attraverso la figura del “conestabile” o reclutatore cittadino di milizie e infine, con il formarsi di stati territoriali più grandi, si tese a trasformare le milizie mercenarie in veri e propri eserciti permanenti o quasi. L’affidabilità o meno di tali eserciti dipendeva in gran parte da quanto uno stato riusciva a racimolare con tasse e balzelli vari posti sulla testa della popolazione per pagare comandante e relativa soldataglia. Spesso però le tasse servivano solo ad allontanare la minaccia di un assedio o di una devastazione delle campagne da parte di tali eserciti itineranti.

Pure l’Acuto nel corso della sua carriera fu protagonista di vari voltafaccia, anche se mai repentini come nel caso di altri condottieri. Ora contro il papa, poi al servizio dello stesso, ora contro Firenze, poi a difesa della città toscana. La sua fortuna fu alterna, ora vittorioso, ora sconfitto, imprigionato pure, una volta,  e poi tornato più temibile di prima.

E’ al servizio di Bernabò Visconti, signore di Milano, quando, nel 1370, venuto a conoscenza della ribellione della città di S.Miniato contro Firenze, irrompe in Toscana a seminare il panico, tanto che i Fiorentini raccolgono a Poggibonsi un grosso esercito guidato dai condottieri Malatesta Ungaro e Manno Donati per farglisi incontro. Poi la resa di S.Miniato fa recedere l’Acuto dai suoi piani di attacco e gli fa riprendere la via del nord, per fortuna.

Tre anni dopo, e fino al 1377, lo troviamo al servizio della Chiesa ed è proprio in questo ultimo anno che l’Acuto si rende responsabile, sia pure su ordine del cardinale legato papale, dell’orrenda strage di Cesena, che vide migliaia di persone uccise per strada, di donne violentate, una vera carneficina, atroce vendetta per la ribellione dei cesenati alle angherie e pretese degli eserciti papali.

Dal 1377 lo troviamo quindi al servizio di Firenze. I Fiorentini, visti i precedenti, hanno pensato bene di farselo amico e protettore. Meglio pagare molti fiorini d’oro che avere per nemico un oggettino del genere. Nel 1382 le relazioni tra Firenze e papato sono ormai ristabilite dopo la guerra cosiddetta “degli Otto Santi”, per cui il papa chiede a Firenze di mettere a sua disposizione l’armata dell’Acuto per una spedizione nel napoletano, dove il papa intende appoggiare la causa di Carlo di Durazzo contro gli Angioini. Il papa nell’occasione presenta agli arcivescovi di Napoli e di Capua tale filibustiere, appena reduce dalla strage prima rammentata di Cesena, come suo “dilectum filium Johannem Aguto, militem anglicanum”. Proprio con il guadagno ottenuto da questa impresa, ma molto probabilmente anche dalle taglie imposte agli Angioini per la liberazione dei prigionieri, l’Acuto compra l’anno dopo, nel 1383, per 6.000 fiorini d’oro, alcuni vasti beni in località La Rocchetta di Poggibonsi, tra cui una torre, una casa padronale, altri beni e terreni nelle immediate vicinanze.

Qualcuno immagina che l’Acuto abbia fatto della Rocchetta il suo quartier generale, anche se, in effetti, afferma il Dini, non esistono documenti che provino una presenza stabile dell’Acuto nel piccolo castellare. Certo è, secondo il Pratelli, che qualche anno più tardi, nel 1391, in occasione della guerra tra Firenze e Milano e della discesa in Toscana delle truppe milanesi di Jacopo Dal Verme, l’Acuto pose il suo accampamento tra Colle e Staggia e nella zona della Rocchetta. Il Dal Verme portò qualche danno nelle campagne valdelsane, ma poi, incalzato e tallonato dall’Acuto, riprese la via di Milano.

L’Acuto morì nel 1393;  la Rocchetta e i suoi beni annessi, che probabilmente avevano rappresentato per lui più che altro un investimento dei suoi guadagni come tanti altri, passarono in seguito in proprietà  della famiglia Baldinotti di Pistoia.

Il Dini osserva  che non tutti gli edifici presenti nel complesso della Rocchetta erano stati comprati dall’Acuto. Cita infatti la presenza di un tale Donato della Rocchetta (o “parva Rocha”), dal quale avrebbe poi tratto, secondo il Pratelli, origine il casato Della Rocca, che avrebbe avuto un ruolo importante in seguito nella storia di Poggibonsi.

(V. Pratelli F. “Storia di Poggibonsi” 1990; D.Balestracci “Le armi, i cavalli e l’oro” 2003; F.Dini “La Rocchetta di Poggibonsi e Giovanni Acuto” in Misc.Stor.Valdelsa 1897)

In copertina: la Rocchetta oggi

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