“Si sono persi duemila guerrieri
col condottiero che li guidò,
da capo a piedi, tutti interi,
con elmo e corazza, con lancia e schinieri,
e col cavallo che li portò.
Andavano a prendere Poggi-bo-bonsi
Poggi-bo-bonsi-bonsi-bò….”
Così recita la prima strofa di una filastrocca di Laura Draghi Salvadori apparsa sul Corriere dei Piccoli del 7 ottobre 1962, che ci racconta poi di come Poggibonsi fu salvata grazie ad una generale ubriacatura della truppa a base di vino di Pian di Scò.
Il nome Poggibonsi, che nei libri e nei documenti antichi si trova declinato in mille forme diverse, con la z al posto della s, con una sola g, con la a al posto della i e via dicendo, deve proprio stuzzicare, per la sua musicalità quasi bandistica, la fantasia degli scrittori.
Fu così, forse, anche per il grande Gianni Rodari, che nella simpaticissima e altrettanto delicata novella “Vado via con i gatti” (in “Novelle fatte a macchina”, 1973) narra la storia di un vecchietto, che immagina ex-capostazione di Poggibonsi, il quale, inascoltato in famiglia, decide per un po’ di andarsene a stare con i gatti, diventando un gatto vero e proprio, finché alla fine si lascia convincere, non senza seri dubbi, dalla nipotina a ritornare a casa a fare il nonno a tempo pieno.
Gianni Rodari era stato a Poggibonsi già nel 1951, quando scriveva per il quotidiano L’Unità. Erano gli anni immediatamente successivi alla rottura dell’unità nazionale e alle elezioni del ’48, che avevano sancito la definitiva presa di distanza tra i grandi partiti politici della DC e del PCI. Dall’unità nazionale si era passati alla contrapposizione ideologica, un po’ su tutti i fronti. Da parte cattolica si indirizzavano i ragazzi verso lo scoutismo ed il PCI rispondeva parallelamente con l’organizzazione dei cosiddetti “pionieri”. Rodari ebbe modo di visitare, in quel passaggio da Poggibonsi, la sede, appunto, dei pionieri locali e le dedicò un articolo il 13 giugno 1951 nel quale metteva in luce la creatività dei ragazzi nell’escogitare mezzi per procurarsi i fondi per le loro attività, mezzi che andavano dalla raccolta di ferri vecchi o di stracci, alle rappresentazioni teatrali. Creatività anche nel costruirsi, da soli, con i propri mezzi, giochi di ogni tipo, perfino giochi da tavolo. Le principali attività consistevano poi nelle feste, nelle gite, nelle partite di calcio (memorabile, ci racconta Rodari, una vinta per 1-0 contro gli amici/rivali di Staggia Senese). I pionieri erano presenti, ci narra Rodari, anche in altri paesi del senese e la cosa più bella, a suo avviso, era che tali gruppi cercavano anche la collaborazione e l’amicizia dei corrispondenti gruppi scoutistici cattolici, dando così, insieme, una piccola lezione di fair play agli adulti, che allora erano un po’ meno disponibili in tal senso.
Rodari tornò a Poggibonsi nell’autunno/inverno del 1978, due anni prima di morire, invitato presso la scuola materna comunale di Via Risorgimento dal comitato di gestione della stessa, su iniziativa della maestra Tamara Tognetti, a parlare dei suoi racconti e della sua visione pedagogica. Nell’occasione gli fu offerta, prima dell’incontro, una cena presso il ristorante Alcide. Non esistevano allora né il ponte Pietro Nenni, né quello di via Luigi Galvani, per cui Poggibonsi era praticamente tagliata a metà dalla ferrovia. Lunghe file di auto, camion ed autobus stazionavano per interminabili minuti presso i passaggi a livello di largo Gramsci e di via Vallepiatta. L’attesa era a volte veramente estenuante, tanto che una volta alcuni giovani in vena di burle organizzarono una sorta di simpatica sceneggiata facendosi riprendere davanti alle sbarre mentre giocavano a carte su di un tavolino improvvisato, o mentre si facevano la barba o ancora mentre leggevano comodamente il giornale, in attesa dell’arrivo del treno, per mettere in evidenza il grosso problema della città.
Anche Rodari, nel venire a Poggibonsi, aveva forse sperimentato quell’attesa, poiché durante la cena espresse la sua intenzione di scrivere prima o poi la storia di un paese diviso in due, appunto, come era allora Poggibonsi, dalla ferrovia. Chissà, se fosse vissuto ancora, avremmo potuto leggere oggi la storia della nostra Poggibonsi degli anni ’70 e delle sue vecchie vicissitudini di passaggi a livello.
(V. anche Burresi-Minghi “Poggibonsi dal miracolo economico agli anni ‘70” – 2021)
In copertina la filastrocca apparsa sul Corriere dei Piccoli del 7 ottobre 1962