Sulla Stampa Sera di martedì 27-mercoledì 28 marzo 1945 compare tra le notizie di cronaca un delizioso articoletto che riporta il caso di un vecchio borsaiolo originario di Poggibonsi stabilitosi poi a Torino. Torino é ancora sotto occupazione per il momento, come si nota anche dalla data del giornale, che accanto all’anno 1945 riporta ancora il numero romano XXIII dell’era fascista. A fine articolo si riporta pure l’orario dell’obbligo dell’ oscuramento, dalle 19.15 alle 5.35. Siamo in un commissariato di polizia, dove il vecchietto, tale Giacomo Raveiro, se la vede con un esperto commissario il quale gli vuol estorcere in tutti i modi, vista l’evidenza,la confessione di colpa. Questo il testo integrale dell’articolo, dal titolo “Colpevoli sono le mie mani”, scritto in forma simpatica e narrativa:
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“L’ufficio del dottor X si è sfollato delle sei o sette persone che da un quarto d’ora l’avevano invaso e di fronte non sono rimasti che il funzionario ed un vecchietto, Giacomo Raveiro fu Emanuele, nato sessantotto anni fa a Poggibonsi. E’ accoccolato, più che seduto su di una sedia e fissa con gli occhi smarriti una lucente rivoltella che occhieggia sulla scrivania. Finalmente il silenzio è rotto. Il dottor X, uomo esperto che ha lavorato in almeno una decina di città ed ha in questi giorni compiuto il ventesimo anno di servizio, si decide ad aprire bocca:
- Insomma, ditemi. Vi hanno visto in una vettura della sesta linea con un portacarte tra le mani. Il proprietario del portacarte ha dichiarato che gli eravate accanto e che due o tre volte vi ha squadrato di malocchio perché lo sospingevate con troppa insistenza. E voi continuate a negare di essere un discreto borsaiolo.
- Non nego nulla, signor Commissario, - si anima il vecchietto – dico soltanto che questa volta non sono stato io.
Poi si interrompe ed apre le braccia come per implorare perdono. Il dottor X perde la pazienza. Quel temporeggiare del vecchio borsaiolo, quel suo non voler firmare il verbale ormai redatto, lo infastidisce.
Il dottor X si alza, gli si pianta dinanzi, lo fissa negli occhi e poi, pacatamente, gli dice:
- Voi siete un artista teatrale.
Il vecchietto si agita, arrossisce. Il Commissario l’ha toccato sul vivo. Egli veramente è stato un artista, ma non di teatro, di baraccone. In una di quelle carovane che girano le fiere e i mercati; egli era un prestigiatore. Trent’anni fa, a Poggibonsi, donde mosse per cominciare e dove finì poi la carriera. Tutto ciò racconta, sciogliendo la lingua, racconta come elettrizzato. Ma torna d’un tratto silenzioso quando il dottor X gli chiede quante condanne abbia avuto.
- Poche, pochissime, signor Commissario. Forse tre, forse quattro (tanto per il momento non sarà possibile controllarle). Nessuna qui, in questa città, dove mi trovo da un anno, da quando ho dovuto sloggiare di laggiù. E non avrei più rubato, non avrei più toccato nulla. Ma le mie mani, le mie mani soltanto sono colpevoli. Quando mi trovo su una vettura tramviaria debbo sempre prestare loro attenzione. Senza che io me ne accorga, si intrufolano in tasche non mie e si ritirano quasi sempre con qualche cosa. Poca roba, signor Commissario. Quasi sempre cartacce. Ma qualche volta anche biglietti da cento, ed una o due volte da mille. Ma la vita è cara e non è possibile spendere poco. A meno che non ci fossero più tram.
La confessione è venuta. Un po’ stentatamente, ma piena. E per qualche mese Giacomo Raveiro non costituirà più un pericolo tramviario.”
(Da Stampa Sera, 27/28 marzo 1945)
Nell’immagine: un vecchio tram a Torino.