Poggibonsi e un bigamo ''a sua insaputa''

Poggibonsi e un bigamo ''a sua insaputa''
storia poggibonsese
Singolare è il caso di bigamia avvenuto a Poggibonsi nella seconda metà del sec. XV, anno 1471 per la precisione, in quanto si tratta di un uomo che diventa bigamo ''a sua insaputa''

La bigamia si configura come reato, anche grave, per la Chiesa e di conseguenza anche per molti tribunali civili,  soprattutto dopo il Concilio di Trento. Prima di tale data ci si limitava a costringere il bigamo a rispettare il primo matrimonio contratto. In ogni caso si trattava, una volta venuta alla luce la bigamia, di una situazione sicuramente complicata e imbarazzante.

Singolare è il caso di bigamia avvenuto a Poggibonsi nella seconda metà del sec. XV, anno 1471 per la precisione, in quanto si tratta di un uomo che diventa bigamo “a sua insaputa”, come si direbbe oggi. L’uomo in questione è un certo Piero, tessitore tedesco, o “maestro di panni”, come si diceva allora. Piero si era sposato in Germania con una donna “di mali costumi”, la quale un giorno fugge di casa e scompare. Piero a quel punto, insieme ad altri tessitori tedeschi suoi amici, decide di trasferirsi in Toscana. I suoi amici si fermano a Firenze, mentre lui raggiunge Poggibonsi, dove inizia la sua attività commerciale. Qui dopo un po’ di tempo lo raggiunge una lettera della sua madre che lo informa della morte della moglie.

Piero a quel punto si sente libero e si sposa con una donna di Poggibonsi, dalla quale ha tre figli. Ma la prima moglie in realtà non è morta e dopo qualche anno, nel dicembre 1470, riappare. Viene a Firenze con l’intenzione di accusarlo, appunto, di bigamia. Trova ospitalità presso uno dei tedeschi tessitori, tale Bartolomeo, il quale manda a chiamare Piero a Poggibonsi. Questi si reca a Firenze e nel vedere la prima moglie che riteneva morta sulle prime è tentato di fuggire. Poi, di fronte alle sue accuse, si accorda con lei e firma una carta con la quale si impegna a tornare con lei entro il mese di settembre dell’anno 1471. Fa ritorno quindi a Poggibonsi a dare la notizia alla seconda moglie, la quale di lì a pochi giorni muore.

Il caso fa scalpore, suscita qualche sospetto, e finisce anche sul tavolo del vicario di Certaldo Andrea Carducci, il quale, come accadeva spesso allora,  oltre a rivolgersi alla magistratura ordinaria, scrive direttamente a Lorenzo il Magnifico una lettera non si capisce bene se accusatoria o più probabilmente  per chiedere lumi allo stesso su come agire, corredata della copia dello scritto intercorso tra Piero e la prima moglie. La lettera è del 3 agosto 1471. Il vicario sembra incerto sulla vicenda e su come muoversi, se dare tutto come risolto o se interrogare (“esaminare” si diceva allora) di nuovo il tessitore.

Di altro tenore invece una seconda lettera ancora sullo stesso caso, rivolta questa da Francesco di Antonio, notaio di Certaldo, a Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo. Lucrezia nei primi anni successivi alla morte di Piero il Gottoso fa un po’ da tutrice e da guida al figlio Lorenzo nel governo dello stato fiorentino.  Persona assai colta e raffinata, poetessa lei pure ed amica del Pulci e del Poliziano, è nello stesso tempo ferrata in matematica ed amministrazione e persona influente e di giudizio. Francesco le scrive per perorare la causa di Piero tessitore, che definisce “perfetto maestro di panni, uomo giusto, anzi, santo” e la prega di intercedere per lui per discolparlo da ogni sospetto.

Non so come sia andata a finire la vicenda. Sicuramente deve aver fatto grande rumore in un paese di provincia come la Poggibonsi del XV secolo.

(V. ASF Lettere a Lorenzo il Magnifico e a Lucrezia Tornabuoni; P.Salvadori: “Dominio e patronato: Lorenzo de’ Medici e la Toscana del Quattrocento”. Roma 2000)

Nell’immagine: la lettera del vicario di Certaldo a Lorenzo il Magnifico.

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