Poggibonsi e la leggenda della Fonte di Beccabarili

Poggibonsi e la leggenda della Fonte di Beccabarili
storia poggibonsese
La stradina che da Calcinaia sale su verso la Basilica di S.Lucchese e che si chiama oggi ''di Boccabarili'' avrebbero dovuto chiamarsi in realtà ''Beccabarili'', ma il tempo deforma le parole e certe volte ne fa dimenticare perfino la loro remota origine

La stradina, ormai mulattiera possiamo dire, che da Calcinaia sale su verso la Basilica di S.Lucchese e che si chiama oggi “di Boccabarili”, come pure l’omonimo luogo dove si trova un pozzo chiuso da una grata, con un muraglione di lato a pietre squadrate a sostegno del ciglio sovrastante, avrebbero dovuto chiamarsi in realtà “Beccabarili”, ma il tempo, si sa, deforma le parole e certe volte ne fa dimenticare perfino la loro remota origine. Basti pensare al nome Poggio di Bonizio, diventato poi Poggiobonizio, quindi Poggibonizzi, Poggibonzi e infine Poggibonsi, con qualche altra variante intermedia.

Beccabarili era infatti il nome di una delle famiglie fuggite, secondo tradizione, da Fiesole e che avevano, con il consenso degli abitanti di Borgo Marturi, edificato l’abitato detto di Camaldo, dal cognome di un’altra potente famiglia fiesolana, sull’altura dove ora si trova la basilica di S.Lucchese. Tali famiglie si erano poi trasferite nel nuovo castello fortificato di Poggiobonizio, edificato a partire dall’anno 1156. Con loro anche un’altra famiglia importante, quella dei Vivenzi, tutte famiglie ricordate anche dal Pratelli nella sua celebre storia di Poggibonsi, che ci informa dettagliatamente anche sull’arme di ognuna. I Beccabarili avevano come insegna, ci dice lo storico, “uno scudo azzurro e bianco con un’onda a traverso perpendente, con una luna bianca nell’azzurro  e una luna azzurra nel bianco”.

Negli anni ’50 del secolo scorso, quando da casa salivo su al convento dopo pranzo  per la “dottrina” con un mio compagno di giochi, ricordo che ci fermavamo presso il pozzo, allora aperto, di Boccabarili, dove spesso si vedevano sgusciare dalla vegetazione alcune splendide salamandre azzurrognole. Era, per noi ragazzi, un luogo un po’ misterioso e fiabesco e forse, a giudicare dalla leggenda narrataci da Nestore Brunori sulla base, così dice, del racconto di sua nonna, la sensazione di magia aveva una sua ragion d’essere. Il Brunori fu notaio a Poggibonsi sul finire del secolo XIX e fu anche autore di una “Storia d’Italia dalla pace di Villafranca alla morte di Vittorio Emanuele II”, scritta insieme al segretario comunale di Poggibonsi Leopoldo Pozzesi ed  edita dalla locale e celebre tipografia Cappelli nel 1878.

La leggenda è lunga e ricca di particolari e descrizioni minute, per cui provo a sintetizzarla un po’.

Dunque, nell’anno 1212 in Poggiobonizio venne eletto come podestà Silvio Camaldo, che aveva un figlio di 25 anni, Brunetto, giovane di bell’aspetto, aitante e risoluto. Le ragazze del castello se lo mangiavano con gli occhi e tutte lo avrebbero voluto per marito. Tra queste anche Sara Beccabarili, figlia di ser Ippolito, senza ombra di dubbio la più carina, affabile ragazza di Poggiobonizio, ammirata quindi e insieme invidiata dalle altre ragazze per queste sue doti personali. Silvio Camaldo per festeggiare l’elezione all’alta carica decise di organizzare una festa, con tanto di banchetto e successive danze, alla quale invitò le varie famiglie amiche e notabili del luogo, tra le quali non poteva mancare certamente quella dei Beccabarili, come pure quella dei Vivenzi. Sara, ovviamente, fu raggiante di gioia per l’invito e già pensava a come acconciarsi per far presa sul cuore di Brunetto; ma questi, un po’ viziato ed abituato ad aver tutto con facilità, per il momento vedeva nelle donne solo un momento di temporaneo piacere. Non pensava al matrimonio, tanto meno a ragazze come Sara, di famiglia altolocata, che non poteva certo illudere per poi disonorare. Ragione per cui, quando Sara si presentò in casa Camaldo, Brunetto si limitò ad offrirle il braccio per condurla nella sala della festa e niente di più.  Sara, che si era presentata in forma smagliante, sfoggiando “un abito ricchissimo a fondo verde chiaro intessuto a fiorami sfolgoranti per la vivacità dei colori e per la maestria con la quale era condotto il disegno”, ne restò assai delusa e, forse anche per far ingelosire Brunetto, finse di cedere alle lusinghe di uno spasimante, Lionello Vivenzi, amico dello stesso Brunetto. Quest’ultimo, alla fine, vedendo Sara danzare con l’amico e udendo di volo, incrociando i due durante il ballo, alcune frasi amorose, sentì improvvisamente qualcosa che lo feriva dentro. Sara era riuscita a far breccia nel suo animo di giovane gaudente e spensierato e la pena d’amore si stava sostituendo alla semplice ricerca del piacere. Così Brunetto, amareggiato, decise in un primo momento di lasciare la sala per chiudersi in camera sua. Poi, sollecitato dalla madre a tornare, si recò nella sala da ballo ed invitò Sara a danzare con lui. Lei non aspettava altro e  da allora, per tutta la durata della festa, ballò solo con Brunetto rifiutando  tutti i ripetuti inviti di Lionello, il quale dentro di sé si rodeva di rabbia e giurava vendetta.

Brunetto e Sara cominciarono poi a vedersi di nascosto, di notte, a casa Beccabarili, con la complicità di qualche servitore, e pensavano già di manifestare le loro intenzioni di unione ai propri genitori. Sara, in quanto orfana di madre, al solo padre Ippolito, il quale sarebbe stato  sicuramente ben contento di vederla unita a un giovane come Brunetto, tra l’altro di bell’aspetto e soprattutto facoltoso. Per stringere meglio il loro patto d’amore, i due ragazzi decisero di trovarsi una sera nel Bosco delle Fate che circondava da ogni lato Poggiobonizio, e precisamente presso una grotta che si trovava lungo il pendio degradante giù, verso la Magione. Lionello da parte sua ostentava indifferenza, ma nel frattempo riuscì a corrompere un’ancella di Sara, tale Teresa, per conoscere i piani dei due e rovinare loro in qualche modo la festa nuziale. Teresa nutriva anche lei risentimento verso Brunetto, il quale l’aveva in passato illusa e poi abbandonata. Prima Lionello mise in giro voci di presunti incontri amorosi avuti da lui con Sara. Poi, una volta rivelatesi infondate tali voci e saputo che ormai era stato fissato il matrimonio, organizzò addirittura un agguato.

Prima di sposarsi, Brunetto e Sara pensarono di incontrarsi un’ultima volta presso la grotta teatro delle loro promesse d’amore. Lionello, informato da Teresa di ciò, si recò alla grotta in anticipo e, non appena Sara fu lì, tentò di farla sua. Alle grida di aiuto della giovane accorse però Brunetto e tra i due si ingaggiò un serrato duello a fil di spada. Brunetto non avrebbe voluto uccidere, nonostante tutto ciò che aveva  visto, quello che una volta era stato un suo amico, ma  quando Sara, vedendolo sanguinare da un braccio per una ferita di striscio, tentò di gettarsi nel mezzo e venne a sua volta gravemente ferita, non ci vide più, attaccò di spada senza pietà ed uccise Lionello. La ragazza, ferita gravemente e sanguinante, venne presa da Brunetto sulle braccia e portata a casa Beccabarili dai genitori. Quando la gente si recò sul luogo della tragedia, trovò, accanto al cadavere di Lionello, anche quello di Teresa, che si era uccisa con la stessa spada usata da questi nel duello.

Ippolito Beccabarili giurò a quel punto che, se la figlia fosse vissuta,  avrebbe fatto erigere nei pressi del luogo dove si era consumato il fatto di sangue  “una marmorea fonte” e che avrebbe fatto stabilire “una festa annuale in rendimento di grazie all’Altissimo e a perpetua memoria del doloroso fatto”. Sara alla fine riuscì a sopravvivere e suo padre mantenne così la promessa. In poco tempo venne edificata  una fontana “in forma di mezzo cerchio, ove l’acqua, dopo aver precipitato nelle varie cascate create ad arte dentro la stessa fonte, si riuniva in un laghetto perfettamente quadro, il quale era vagamente coperto per mezzo di dodici colonne di marmo che sorreggevano il palco. Sulla fronte principale vi era una specie di arco, ove le armi delle famiglie Beccabarili, Camaldo e Vivenzi erano tra loro intrecciate e facevano come una corona  ad una iscrizione che, rammentando il luttuoso avvenimento, portava pure il nome del suo fondatore e la data del suo innalzamento”.

Oggi - termina così il suo racconto Nestore Brunori - nel luogo dove sorgeva la maestosa fonte detta dei Beccabarili è una sassosa e scoscesa strada e il tempo e l’incuria non hanno lasciato di tutto ciò a noi tardi nipoti che una specie di pozzo assai malandato fiancheggiante la già ricordata strada e che ci pervenne nello storpiato nome di Boccabarili”.

(V. Nestore Brunori: “La Fonte dei Beccabarili - novella del secolo decimoterzo raccontata da mia nonna” da “La Rivista Europea” - anno 1 vol 2°; F. Pratelli: “Storia di Poggibonsi”)

In foto: il luogo dove attualmente si trova il pozzo di via di Boccabarili

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