Lo chiamavano il “Medeghino”, cioè “piccolo Medico”, Gian Giacomo, del ramo dei Medici di Milano, per distinguerlo dai ben più quotati Medici di Firenze. Era fratello di Pio IV, papa dal 1559, e di Margherita, madre di S.Carlo Borromeo. Il Medeghino non aveva però niente a che fare con i santi. La sua vita, costellata di violenze e delitti, fu quella di un avventuriero, a capo di un covo di masnadieri in quel di Como, finito poi condottiero e insignito infine del titolo di Marchese di Marignano, per cui poi fu chiamato anche “il Marignano”.
Fu su di lui che il duca Cosimo I de’ Medici puntò nel suo intento di liberarsi una volta per sempre del suo vicino scomodo, ossia della Repubblica di Siena, che tanto fastidio aveva dato sempre alla città di Firenze. E come per una ironia della sorte, proprio dalla terra di Poggibonsi, città che in passato si era di solito trovata alleata di Siena nello schieramento ghibellino, partì la spedizione che avrebbe segnato la fine della gloriosa repubblica senese.
Siena si era ribellata nel 1552 al protettorato imperiale, divenuto in pratica vera occupazione, cacciando via la guarnigione degli spagnoli e demolendo pietra dopo pietra, poi, la cittadella che questi avevano eretto, per chiedere quindi la protezione del re di Francia. Un’onta che l’imperatore Carlo V, si capiva, non avrebbe potuto digerire facilmente. Il cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Lucrezia Borgia, in qualità di luogotenente del re di Francia aveva raggiunto Siena per fare da supervisore di un nuovo reggimento della città. Quando infine i Senesi decisero di dare il comando delle loro milizie al fuoriuscito fiorentino Piero Strozzi, acerrimo nemico dei Medici, il duca Cosimo I trovò il pretesto che cercava per tentare, confidando nell’aiuto imperiale, di sottomettere lo stato senese.
Il piano di Cosimo era ben congegnato e studiato a tavolino: tre eserciti avrebbero attaccato da tre lati diversi il territorio senese: un’armata al comando di Federico Barbolani, conte di Montauto, avrebbe attaccato dal mare, sbarcando alla foce dell’Ombrone e marciando poi su Castiglione della Pescaia, Grosseto, Massa Marittima. Una seconda, affidata a Rodolfo Baglioni, dalla Valdichiana si sarebbe diretta su Chiusi, Pienza e Montalcino. La terza armata, quella più consistente, sotto il comando del marchese di Marignano, il Medeghino, da Poggibonsi avrebbe marciato direttamente su Siena.
Un piano che per avere buon esito aveva bisogno della massima segretezza. Si trattava di prendere i Senesi di sorpresa, senza che avessero il tempo di organizzare la difesa. Per questo motivo nei quattro giorni precedenti l’attacco furono tenute serrate le porte di Firenze, ma anche di Arezzo, Pisa, Volterra, “senza che alcuno potesse averne licenza a nessun patto, entrato in quelle terre, di poterne uscire”. Furono reclutati molti uomini nella Valdelsa e in altre parti di Toscana, suddivisi poi in “bande” e affidate ciascuna a un capitano. A ciascun capitano fu data, considerata la distanza dei vari luoghi da Poggibonsi, l’ora giusta della partenza, la quantità di polvere, piombo, corda e pane da portare, per un’autonomia di circa tre giorni. Tutti i capitani con le loro milizie giunsero quindi, puntuali, “all’Ave Maria della sera del giorno 26 Gennaio 1554”, al punto di ritrovo, a Poggibonsi. Quando arrivò a Poggibonsi anche il Marignano con le truppe ducali e 400 cavalieri spagnoli, vi trovò radunati ben 4.000 fanti, 400 cavalli e 10 muli carichi di fuochi artificiali e scale, più 20 pezzi di artiglieria, palle da cannone e 600 guastatori. Un vero intero esercito occupava il piccolo nostro paese.
Il tempo di far rifiatare un po’ uomini e animali e poi, nella notte tra il 26 e il 27 Gennaio 1554 il Marignano dette l’ordine di marciare alla volta di Siena. A Poggibonsi stava piovendo a dirotto, tanto che “le vie per dove passavano i soldati, tutte correvano d’acqua”. Il Marignano fece mettere a tutti i soldati sopra l’armatura una camicia bianca, al fine di riconoscersi tra loro e non scambiarsi con i nemici. (Le prime vere e proprie uniformi militari distintive appartengono infatti al secolo successivo, il XVII). A Siena intanto si stava festeggiando il carnevale. Lo stesso cardinale Ippolito “quella notte era ito a una veglia di bellissime giovani a passar tempo”, come usava per carnevale in città. Le truppe del Marignano, pur sotto la pioggia battente, arrivarono senza danno alcuno a Palazzo Diavoli, quindi attaccarono il forte di Camollia, dove i quaranta soldati di guardia vennero facilmente sopraffatti. La voce dell’attacco si sparse a questo punto per Siena, le campane suonarono a martello e il popolo corse alla difesa. Con una sortita di 300 archibugieri i Senesi riuscirono a respingere per il momento il nemico. Il Marignano, conscio di disporre di un esercito fatto in gran parte di persone inesperte reclutate nel contado, si accinse allora, in attesa dei rinforzi imperiali, ad organizzare l’assedio della città.
Piero Strozzi, per rompere l’assedio, cercò di portare la guerra fuori città e questa, come noto, ebbe per teatro quindi non solo le mura di Siena, ma vari luoghi della Toscana, coinvolgendo roccaforti senesi o fiorentine, per concludersi infine nella piana di Scannagallo, presso Marciano di Val di Chiana, il 2 Agosto 1554.
In tutti i mesi di guerra Poggibonsi servì al Marignano come centro di approvvigionamento e smistamento delle vettovaglie, per la cui raccolta fu nominato commissario Alessandro del Caccia, senatore fiorentino. Il compito di rifornimento era reso arduo dal fatto che i Senesi controllavano centri come Monteriggioni e Casole, per cui il Marignano dispose che una nuova compagnia facesse da scorta per il trasporto di vettovaglie da Poggibonsi al campo militare. Quindi, per rendere ancora più sicuro il tragitto, si decise ad attaccare e prendere i borghi di Castiglioncello, Rencine, Badia a Isola, il castello della Chiocciola e S.Colomba, dove furono insediati presidi militari.
Siena si arrese il 17 Aprile 1555. Un manipolo di senesi si rifugiò nella rocca di Montalcino, dove resistette per altri quattro anni. Poi, il 4 Agosto 1559, anche loro dovettero arrendersi e con il trattato di Cateau-Cambresis fu sancito, oltre al predominio spagnolo in Italia, il passaggio del territorio senese sotto il dominio dei Medici.
La guerra di Siena costò molto alla popolazione poggibonsese, che dovette subire requisizioni di ogni genere per far fronte ai bisogni dell’esercito. Uno speziale poggibonsese, tale Bastiano di Giovanni Bronconi, in una lettera a Cosimo de’Medici del 1565, fece presenti tutti i torti subiti al tempo della guerra, che, da uomo ricco com’era, l’avevano ridotto in miseria, soprattutto durante il passaggio di alcune truppe condotte da Tommaso Busini. Il pover’uomo per far fronte ai debiti aveva dovuto disfarsi del patrimonio che aveva ed ora chiedeva “miserichordia e aiuto” per sé e per la sua figliola.
(V. C. Antichi “Poggibonsi” 1965; Burresi-Minghi “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700”, 2018; G. Adriani “Istoria de’ suoi tempi”, 1583; A. di Montalvo “Relazione della guerra di Siena”, 1863; A.Mannucci “Vita di Cosimo I de’ Medici”, 1823; “Commentari del sig. Biagio di Monluc”, 1630; V. Buonsignori “Storia della Repubblica di Siena”, 1856)