I numeri sono impietosi. Si parla di centinaia di migliaia di casi di abusi e di migliaia di uomini di chiesa coinvolti. Con l’attuale papa Francesco, che ha parlato di “mostruosità”, di “vergogna” , di “tradimento di Dio” e che ha dichiarato da subito guerra alla pedofilia, forse qualcosa può effettivamente cambiare. Ma la piaga all’interno della Chiesa viene da lontano, forse da sempre.
Nei primi anni del Novecento fece scalpore sulle pagine dei giornali nazionali del tempo, primi tra questi La Stampa e il Corriere della Sera, il caso del prete Riva. Erano anni di fiero contrasto tra due forze, il movimento socialista e anarchico da una parte e quello cattolico dall’altra, che da sponde opposte e con intenti diversi cercavano di fare proseliti tra le masse lavoratrici.
La contesa si fece particolarmente aspra quando il nuovo papa Pio X, condannando ogni idea modernista ed ogni tentativo di ricerca di una giustizia sociale terrena, rese vane le aperture che si erano verificate nel mondo cattolico con la Rerum Novarum di Leone XIII, con le posizioni socialisteggianti di Romolo Murri o con la ricerca di attenuazione dello sfruttamento capitalistico di Giuseppe Toniolo.
Non meraviglia quindi che in questo clima fattosi incandescente tra socialisti/anarchici e cattolici lo scandalo emerso nell’estate del 1907 attorno alla figura del sacerdote Bartolomeo Riva, torinese, sia diventato motivo di critica anticlericale e di dura battaglia anche in località periferiche come Poggibonsi.
In realtà si trattò soltanto dell’ultimo di una lunga serie di scandali contemporanei, che gettarono molte ombre e discredito sulla Chiesa del tempo e le sue istituzioni. Ad Alassio un prete fu accusato di sevizie sessuali a danno di un tredicenne; le monache di Trani di maltrattamenti ripetuti, mentre nel collegio dei Salesiani di Varazze gli stessi medici incaricati dal magistrato inquirente di eseguire perizie certificarono tutta una serie di abusi sessuali compiuti. Il prete Riva fu arrestato per aver abusato di alcune ragazzine in un asilo milanese, di cui era “direttore spirituale”, gestito da una sedicente suora, tale suor Giuseppina, al secolo Pasqualina Fumagalli, ragione per cui lo scandalo passò poi alle cronache come lo “scandalo Fumagalli”. Tale asilo aveva una casa-madre a Torino, mentre a Milano aveva sede in una palazzina acquistata allo scopo nel 1905. Il prete Riva si recava spesso a Milano, dove si tratteneva qualche giorno in tale asilo e dove metteva in atto i propri turpi desideri. Gli abusi non venivano commessi sulle “esterne”, cioè sulle ragazze che a sera tornavano in famiglia ed avevano qualcuno che si occupava di loro, ma sulle “interne”, quelle che stavano fisse nella struttura, in quanto orfane o abbandonate e non curate da alcuno. Qualcuna, più sveglia, trovò infine modo di fuggire dall’istituzione e la tresca quindi trapelò in qualche maniera, tanto da finire sul tavolo degli inquirenti. Le prove contro il Riva furono schiaccianti. Prima tra queste la terribile malattia di cui era affetto e che aveva trasmesso ad alcune povere ragazze, poi ricoverate per questo in ospedale, delle quali una morì per le complicazioni dovute alla stessa malattia. In secondo luogo un biglietto, rinvenuto durante le indagini, con il quale la Fumagalli chiedeva a don Riva un favore in cambio delle piacevoli notti che lei gli aveva procurato, ed infine le testimonianze delle stesse vittime, prima titubanti, poi via via più coraggiose nel raccontare tutto quello che avveniva nell’asilo.
Quando il prete Riva, tradotto in questura a Milano, scese alla stazione, a stento la forza pubblica riuscì a salvarlo dalla rabbia dei facchini milanesi, i quali, saputo del fatto, avrebbero voluto fare giustizia sommaria. Il processo, che durò un bel po’ di tempo, convalidò tutte le accuse e nel 1910 si decise il trasferimento del Riva al carcere di San Gimignano. La notizia del passaggio del prete Riva dalla nostra stazione di Poggibonsi deve essere arrivata in anticipo negli ambienti anticlericali locali. Cominciarono infatti a circolare componimenti satirici in versi, che ironizzavano sui preti “pronti ad alzar le gonne/ a tutte le pie donne”, con espresso riferimento poi al prete Riva. I versi di provenienza anarchica erano però i più decisi e duri: “Hai concupito una bambina/ ma se passi dalla Morina / sotto il treno a pedatoni/ finisci, ma senza c******i, e via dicendo con altre cortesie del genere. [La Morina era il nome di una celebre osteria di Poggibonsi].
Quando scende in catene, scortato dai carabinieri, alla stazione, don Bartolomeo Riva viene accolto dalla popolazione di Poggibonsi con una bordata di fischi e sputi, ma questa volta non si tratta di socialisti ed anarchici, bensì delle stesse pie donne solite riempire la chiesa la domenica, che si sentivano tradite nei loro sentimenti religiosi da tale figura.
“Il Popolo di Siena”, giornale clericale e reazionario, pur accettando per forza di cose il verdetto inoppugnabile della magistratura, provò in qualche modo a difendere il prete Riva, definendolo “un piccolo e debole disperato detenuto, incatenato e circondato nientedimeno che da cinque carabinieri”, condannando le intemperanze della gente come ingiustificate e titolando l’articolo, non a caso, “La cloaca di Poggibonsi e San Gimignano”. Un’offesa diretta alla dignità dei nostri concittadini.
Dal canto suo “La Martinella”, giornale di ispirazione socialista, osservò che le persone “di fronte alla bestia umana compiente nell’ombra di una sacrestia o nella penombra dei corridoi di un convento il più efferato delitto contro dei deboli e degli innocenti affidati alle sue cure dalla cieca fiducia dei genitori, non possono trattenersi da un giusto sdegno, che talvolta può essere anche espresso in un modo un po’ rude”.
(V. Burresi - Minghi “Poggibonsi tra ‘800 e ‘900” - 2014; La Stampa e il Corriere della Sera, annata 1907; La Martinella e Il Popolo di Siena, annata 1910)
In copertina: vignetta satirica apparsa su “L’Asino” del 1899.