-Eccolo, babbo, il Rex! Il Rex! Tutti ci ricordiamo, penso, l’atmosfera di stupore e di incanto che circonda, nel film Amarcord di Federico Fellini, il passaggio da Rimini del monumentale transatlantico Rex, con la gente accorsa sul mare, nonostante l’ora notturna, per non rinunciare ad uno spettacolo eccezionale, da favola.
Quel passaggio, che poi storicamente pare non sia mai avvenuto, rappresentava nel film, per la provincia, il transito di un sogno, era l’emblema di un desiderio di evasione, sia pure momentanea, da una vita nella quale ognuno, singolarmente, portava il peso di una pena interiore o di desideri irrealizzati. Perfino il cieco, al passaggio della nave, chiede ossessivamente agli altri che possono vederlo: “Com’è? Com’è?”.
Ma il Rex saluta con le sue sirene e scompare veloce, così come è apparso, lasciando ognuno con le sue pene e i suoi sogni stampati negli occhi protesi a scrutare nel nero del mare il luccichio che inesorabilmente si allontana.
Una sensazione simile, almeno a quanto riferitomi dai miei, devono aver provato diversi poggibonsesi al passaggio, negli anni ’20 del secolo scorso, del treno reale, con i suoi eleganti vagoni riccamente tappezzati e decorati e il vagone ristorante splendidamente illuminato e addobbato. I miei mi raccontavano che alla notizia del passaggio di tale treno molta gente nella nostra zona si recava con anticipo sul bordo del campo che sovrasta tuttora la ferrovia Empoli-Siena nei pressi del complesso della Magione per assistere all’evento.
Pochi istanti di un avvenimento eccezionale, come nel caso del Rex, ma tali da restare impressi nel ricordo della gente e soprattutto dei ragazzi di allora. Mia madre aveva pochi anni ed era per lei, da quello che mi ha raccontato e che ho compreso, una specie di tuffo nel mondo delle fiabe, dei re, delle regine e delle principesse, prima di far ritorno alla propria umile abitazione e alla propria semplice mensa fatta di poca carne e di molta minestra di cavolo o fagioli.
Il re Vittorio Emanuele III, durante i suoi molteplici viaggi in giro per l’Italia, in visita a città o ad inaugurare monumenti, transitò in treno dal nostro paese varie volte, stando al racconto dei miei. Con molta probabilità il 28 Settembre del 1924 per raggiungere Siena, dove inaugurò l’Asilo Monumento alla Lizza, che la città aveva deciso di dedicare ai caduti di guerra, e dove poi si recò in visita alla sede del Monte dei Paschi e in Piazza del Campo per la sfilata dei reduci di guerra e degli alfieri delle contrade.
Il 4 Novembre 1925 scese invece alla stazione di Poggibonsi per proseguire in automobile per Colle di Val d’Elsa e poi Siena. A Colle il re doveva inaugurare il monumento ai caduti realizzato in forma di obelisco dall’artista Mario Sabatelli. Tale monumento venne allora collocato al centro della Piazza Arnolfo al posto di una fontana preesistente ed oggi, recentemente, è stato spostato in posizione più decentrata in occasione del nuovo rifacimento della piazza stessa.
I passaggi del re da Poggibonsi non furono tuttavia nota lieta e cosa gradita per tutti. Molti, anche a Poggibonsi, non credevano al mondo delle favole e soprattutto alla favola dei re galantuomini e generosi verso il loro popolo. In occasione del passaggio del 1925, infatti, molti anarchici e comunisti furono fermati ed arrestati preventivamente per evitare possibili contestazioni, anche se i giornali del tempo si guardarono bene dal far trapelare la notizia di tali arresti preventivi, eseguiti in assenza di reato.
Mario Rigoni Stern nei suoi racconti di guerra narra di quando, prigioniero in un lager, era stato messo ai lavori forzati lungo una ferrovia e di come dalle tradotte e dai treni merci di passaggio ogni tanto qualcuno, impietosito, gettava giù una rapa, una cicca, un pezzo di carbone. “Ma ogni tre giorni - scrive - puntuale e veloce, passava un treno tutto lucido, con vagoni letto e vagone ristorante. Vedevamo come in un sogno passare tra le luci accese signore ingioiellate e con vestiti leggeri, ufficiali carichi di decorazioni sopra le ordinatissime divise, camerieri in giacca bianca e alamari d’oro che servivano cibi e bevande sopra candide tovaglie. Ma da quel treno mai non cadde una cicca o un pezzo di pane”.
(V. Burresi-Minghi “Poggibonsi dal primo novecento al fascismo” 2016 - L’Illustrazione Italiana)