Poggibonsi e il Rosaio della Vita

Poggibonsi e il Rosaio della Vita
rosaio della vita
Il ''Rosaio della Vita'', composto nel 1373, consistente in 84 capitoli di precetti morali e scritto in una lingua volgare scorrevole e pura
  • E' nel momento del bisogno  che si vedono i veri amici.
  • Il signore che gira armato perché ha paura dei propri cittadini vuol dire che ha fatto qualcosa per non meritare la loro stima e per avere paura di loro.
  • Al povero e al ricco si deve usare la stessa giustizia.
  • Gli uomini sono creati per la conoscenza, le pecore per la pastura.
  • Se Dio ci ha dato l’intelletto per fare cose notevoli è un errore non usarlo a tale scopo.

Questi sono solo alcuni degli ammonimenti e suggerimenti riguardanti la vita virtuosa o meno contenuti nel “Rosaio della Vita”, un’opera attribuita a Matteo Corsini, personaggio di spicco nella Firenze del Trecento, ma che i critici attribuiscono invece ad un altro Corsini, Lorenzo di Giovanni, proposto di Poggibonsi fino al 1394, anno della sua morte ed  anno in cui lasciò il posto al cugino Lodovico, sempre un Corsini.

La famiglia Corsini, che sul finire del sec. XIII e gli inizi del XIV si stabilì a Firenze, fu tra le famiglie storiche originarie di Poggibonizio ed anche dopo la distruzione del 1270 alcuni di loro, come ci racconta il Pratelli,  rimasero nel territorio comunale ad amministrare il proprio ricco  patrimonio. Ancora il Pratelli ci informa che  ebbero un palazzo nella via Maestra, dei magazzini agricoli presso le mura castellane  vicino alla Porta di Sotto e una ricca  fattoria, passata in seguito alla famiglia Vanni.

Il Trecento è un secolo problematico, contraddistinto da un declino delle due principali istituzioni, papato ed impero, da lotte tra partiti e fazioni, dal crollo di alcune importanti compagnie bancarie, dalla crisi di alcune lavorazioni cittadine che innescò alcune clamorose  rivolte sociali, da terribili inondazioni, come quella di Firenze del 1333, dallo scorrazzare per la penisola delle compagnie di ventura e soprattutto dalla terribile epidemia di peste che provocò un consistente calo demografico. Lo stato di incertezza e di precarietà generale generatosi  favorì la ricerca da parte degli uomini del tempo di un’ancora di salvezza nella religione, come spesso avviene in questi casi. Così, anche in letteratura, accanto alle celebri opere dei grandi autori del Trecento, tra  i vari generi letterari vi fu insieme tutto un fiorire di scritti di carattere religioso, dalle laudi, alle lettere (S.Caterina), alle agiografie (Domenico Cavalca), alle raccolte di prediche (Jacopo Passavanti), ai trattati di etica.

Tra questi ultimi è da ricordare il nostro “Rosaio della Vita”, composto nel 1373, consistente in 84 capitoli di precetti morali  e scritto in una lingua volgare scorrevole e pura, tanto che in seguito l’Accademia della Crusca lo citò più volte ad esempio e riportò alcune sue espressioni nel proprio celebre vocabolario. Il Rosaio, esistente in vari codici manoscritti, fu pubblicato per la prima volta a Firenze nel 1845 da Filippo Luigi Polidori. Il nome “rosaio” si deve al fatto, come scritto in premessa, che  contiene “brevissime e odorose sentenze” tolte dai più celebri autori e al fatto che come l’odore delle rose è di conforto alla mente,  così le parole dei saggi ci dovrebbero preservare da ogni vizio insegnandoci a vivere una vita virtuosa.

Sia il Polidori che  il  teologo, nonché accademico della Crusca, Casimiro Basi, optano per l’attribuzione al proposto di Poggibonsi, per vari motivi, ma prima di tutto perché Matteo Corsini, sia pur erudito, fu uomo di mondo, più volte priore della Repubblica, mentre l’opera, da mille indizi, sembra scritta  invece da un uomo di chiesa. Scrive il Basi: “Come potrà immaginarsi che questo Matteo, padre di una numerosissima prole [26 figli] e implicato in tutte faccende di laici potesse scrivere col rigore di un cenobita chiuso nel suo chiostro?”. Inoltre, da come si ricava da un riferimento contenuto nel libro, l’autore del Rosaio sarebbe lo stesso di un trattato di teologia intitolato “De quaestionibus”. Quindi  tutto depone a favore del proposto di Poggibonsi Lorenzo di Giovanni Corsini, sicuramente una persona molto colta, a giudicare dalle citazioni, che vanno da filosofi e  personaggi politici come Salomone, Solone, Talete, Diogene, Socrate, Aristotele, a figure della storia e letteratura romana come Tito Livio, Valerio Massimo, Cicerone, Seneca, Ovidio, a santi e padri della Chiesa come S. Agostino, S. Ambrogio, S. Tommaso, S. Bernardo, S. Basilio.

Il libro, come già accennato, offre consigli in merito ai comportamenti da tenere nella vita, parlando delle principali virtù e dei contrapposti vizi, ma si sofferma anche sui sentimenti e sulle passioni che muovono gli animi e le azioni degli uomini.

Sull’invidia, ad esempio, riporta una citazione di Seneca: “Io vorrei che gli invidiosi avessero tanti occhi che potessero vedere ogni persona che ha del bene, perché il bene altrui è la loro pena”.

  E sulla guerra, argomento, ahimè, ancora purtroppo di attualità, riporta, lapidaria,  una citazione dal Vangelo: “Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur”: beati coloro che amano la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

(V. F. Pratelli “Storia di Poggibonsi” - 1990; L.Passerini: “Genealogia e storia della famiglia Corsini” - Firenze 1858; “Il Rosaio della Vita” a cura di F.L.Polidori-  Firenze 1845)

Nelle immagini in copertina: stemma della famiglia Corsini; la prima pagina del “Rosaio della vita”.

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