Poggibonsi e il prof. Carlo Brini, pittore

Poggibonsi e il prof. Carlo Brini, pittore
carlo brini
Carlo Brini fu maestro di un altro celebre pittore poggibonsese, Carlo Iozzi, il quale gli dedicò la sua raccolta di bozzetti di vita paesana a riconoscenza per aver imparato proprio da lui certe prime tecniche di disegno

Nascosto dalla penombra, nell’altare di destra della Collegiata di S.Maria Assunta, e visibile forse solo a chi ne conosce l’esistenza e la collocazione, c’è un bellissimo quadro, olio su tela del 1863, del pittore poggibonsese Carlo Brini. Si tratta di una “Vergine addolorata”, seduta, con lo sguardo rivolto al cielo, che tiene in grembo una corona di spine.

Carlo Brini fu maestro di un altro celebre pittore poggibonsese, Carlo Iozzi,  il quale gli dedicò la sua raccolta di bozzetti di vita paesana a riconoscenza per aver imparato proprio da lui certe prime tecniche di disegno. Lo Iozzi lo definì a ragione, nel ritratto che ne fece, un “esimio pittore”. E tale fu certamente il Brini, che non dipinse solo soggetti di carattere religioso, ma anche, come vedremo, di altro genere.

Nato nel 1826 a Poggibonsi, rampollo della benestante famiglia Brini di Megognano, si iscrisse giovanissimo, nel 1840, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove poi andò a vivere e a seguire le lezioni di Giuseppe Bezzuoli, assieme a futuri grandi pittori come Giovanni Fattori, Vito D’Ancona, Silvestro Lega ed altri. Le sue doti vennero molto presto allo scoperto, quando, nel 1843, vinse un premio in un concorso bandito dalla stessa Accademia nella sezione “elementi di disegno”. Cosa che si ripeté due anni dopo, quando vinse ancora un premio con il quadro “Pensiero istorico in acquerello”.

Nel 1851  a Firenze fu organizzata una grande esposizione di belle arti ed il Brini vi partecipò con il quadro “Un episodio dell’Inquisizione di Spagna”, che rappresentava una donna messa sotto tortura dai frati al fine di estorcerle un’ammissione di colpa.

La dedica al Brini da parte dello Iozzi stesso

La nota esplicativa relativa al quadro riportava anche una citazione eloquente del letterato e drammaturgo anticlericale Giovanbattista Niccolini che recitava testualmente così: “E le vittime un dì vendetta avranno dalla giustizia delle età lontane”. I tempi però non erano maturi per un’opera tale. Erano gli anni della reazione ai recenti e turbolenti avvenimenti del ’48-’49. Il granduca era tornato in Toscana scortato dalle truppe austriache e il 21 settembre 1850 aveva abolito per decreto nel Granducato la libertà di stampa. Quindi, il 25 aprile del 1851, aveva firmato un complicato concordato con la Santa Sede che concedeva tra l’altro  ai vescovi un potere di censura preventiva in fatto di materia religiosa. I liberali toscani ebbero un bel da mugugnare, ma il  granduca non voleva saperne di turbare i suoi rapporti col papato. Fatto sta che il quadro del Brini venne giudicato “scandaloso” e per ordine diretto del governo granducale se ne ordinò la rimozione immediata dalla mostra.

Migliore sorte ebbe, nel 1856, il quadro “Ambasciata di Lorenzo Ridolfi alla Repubblica Veneta”, presentato alla consueta mostra di Belle Arti fiorentina. Nel frattempo il Brini affrescava, assieme ai pittori Puccianelli e Mussini, la villa Strozzi, nei pressi di Firenze.

Il quadro “Vergine addolorata” posto nella Collegiata di S.M.Assunta

L’opera censurata fu riproposta dal Brini quando ormai erano mutate le condizioni politiche, e cioè, quando, proclamata l’Unità d’Italia, venne organizzata a Firenze una prima Grande Esposizione Agraria, Industriale ed Artistica, nel 1861. Adesso nel catalogo illustrativo delle opere esposte si può leggere questo apprezzamento da parte di un critico: “Un curioso effetto di luce, con grande magistero eseguito, fa anche più bello questo bellissimo quadro, ove le fisionomie dure e volgari dei frati fanno contrasto al candido corpo delicato della donna torturata dai manigoldi, in nome di quel Dio che perdonò alla Maddalena”

Qui il Brini ottenne due riconoscimenti con i quadri “Veduta di Firenze dal Monte alle Croci” e “Petrarca a Bologna”. Quest’ultimo quadro, già proposto in una precedente mostra, rappresentava un episodio significativo della vita del giovane Petrarca, che viene mandato dal padre a Bologna a studiare legge, ma che dedica molto tempo alle lettere, materia per cui si sentiva più portato, arrivando ad acquistare molti libri, che teneva nascosti. Il padre lo viene a sapere, va a Bologna e trovati i libri, li brucia davanti al figlio. Poi, impietositosi dell’aria mortificata del figlio, ne toglie due dalle fiamme e glieli restituisce, un Virgilio e un Cicerone.

Il palazzo dell’Esposizione di Firenze del 1861

Carlo Brini morì nel 1888. Nella chiesa di Megognano, nei pressi della fattoria di famiglia, lasciò a ricordo un piccolo olio su tela intitolato “Ecce homo”, raffigurante il Cristo con una corona di spine in capo ed una canna nella mano destra, secondo l’iconografia tradizionale, derivante dal Vangelo secondo Matteo.

(V. anche Burresi-Minghi “Poggibonsi al tempo di Pietro Leopoldo, Napoleone e Garibaldi” - 2017)

Nell'immagine in copertina: ritratto di Carlo Brini eseguito da Carlo Iozzi.

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