Poggibonsi e il passaggio del Valentino

Poggibonsi e il passaggio del Valentino
cesare borgia
Ci sono alcune date nel corso della storia che sembrano segnare uno spartiacque tra periodi, una cesura, un cambio di passo, in senso positivo o in negativo, dipende

Ci sono alcune date nel corso della storia che sembrano segnare uno spartiacque tra periodi, una cesura, un cambio di passo, in senso positivo o in negativo, dipende. Una di queste è senza dubbio il 1492, anno della scoperta dell’America da parte di Colombo, ma anche della presa di Granada e del completamento della Reconquista spagnola, come pure della morte di Lorenzo de’Medici e della fine della politica dell’equilibrio in Italia e infine dell’ascesa al trono papale di Rodrigo Borgia, con il nome di Alessandro VI.

Quest’ultimo evento segna contemporaneamente l’inizio della breve parabola di potere  del suo figlio illegittimo Cesare, detto il Valentino da quando, in seguito ad uno scambio di favori avvenuto tra il suo genitore  papa e il re di Francia, diventa, nel 1499, duca di Valentinois. La carriera di Cesare è fulminea: il padre papa lo nomina cardinale appena un anno dopo l’ascesa al pontificato, nel 1493, ma il giovane si vede subito che è più portato alle armi che al bastone pastorale e già nel 1498 infatti lascia l’abito religioso per seguire la carriera militare. Dopo aver servito per un po’ di tempo il re di Francia, si ritaglia un suo spazio di potere personale, aiutato ancora  nell’impresa  dallo stesso  padre-papa, che dichiara d’un colpo decaduti i vari signori di Pesaro, Imola, Forlì, Faenza, Urbino, Camerino, spianandogli la strada alla costituzione di personale principato, cosa che Cesare si accinge a fare con la nota spregiudicatezza e, a volte, spietata crudeltà.

E’ il maggio 1501, quando il Valentino, dopo aver messo a ferro e fuoco mezza Romagna, si affaccia nel Mugello a creare apprensione alla città di Firenze, preoccupata già per il fatto che lo stesso duca aveva spedito l’anno prima alcuni mercenari al comando di Oliverotto da Fermo a dar man forte alla città di Pisa.

L’infido duca si dichiara amico di Firenze, ma intanto permette che le sue truppe mercenarie saccheggino ed usino violenze di ogni genere  nel territorio fiorentino, cosa di cui ipocritamente poi si scusa. I Fiorentini, visto che continua, nonostante tutto, a dichiararsi amico, continuano a trattarlo come tale e gli forniscono vettovaglie, come pure permettono ai suoi messi di venire in Firenze a raccogliere fondi,  ufficialmente per il giubileo, in realtà per pagare i suoi mercenari. Quando le sopraffazioni superano un certo limite, i Fiorentini mandano alcuni loro ambasciatori dal duca a sondarne le intenzioni. Le condizioni poste dal Valentino sono provocatorie e  inaccettabili: vuole essere considerato amico, condottiero e capitano di Firenze, vuole che sia rimesso al potere Piero de’Medici, vuole strada libera per attaccare Piombino e infine pretende che gli siano consegnati sei cittadini fiorentini scelti a discrezione dal suo capitano di ventura Vitellozzo Vitelli. Quest’ultima clausola significava mandare sei fiorentini a morte certa ed atroce, in quanto Vitellozzo aveva il sangue avvelenato con Firenze, dopo che i Fiorentini avevano barbaramente ucciso il fratello Paolo, accusato di tradimento per la sua tattica rinunciataria usata nel corso della guerra contro Pisa in quel di Cascina. I Fiorentini di fronte a tali richieste tergiversano.  Il popolo intanto rumoreggia  e  un fiero cittadino, tale Gregorio Ubertini, lascia il parlamento cittadino per non vedere, come dice lui stesso  a chi lo incontra  per le scale, “venduta la propria patria”.

Il fatto è che Firenze teme di mettersi contro il papa Borgia, per timore anche  forse di un interdetto, ma nello stesso tempo non cede alle richieste del duca. Questi, pressato dal re di Francia che vuole compiere un’impresa nel napoletano e vedendo che i suoi piani riguardo a Firenze non hanno immediato successo, decide alla fine di spostarsi verso Piombino. Si dirige prima ad Empoli, “luogo pieno e abbondante di ogni bene”, come ci racconta il Nardi nelle sue Istorie, dove compie ogni sorta di razzia. Verso il finire di maggio è a Castelfiorentino, dove transita con l’artiglieria tirata dai molti buoi fornitigli da Firenze, nonostante tutto. Intanto Vitellozzo è stato mandato a rincuorare i Pisani. Dopo aver attaccato inutilmente Pomarance ed essere stato respinto dai locali terrazzani dopo una battaglia durata sette ore, Vitellozzo si dirige al castello di Barbialla, dove entra mostrandosi amico, per poi far strage di settanta abitanti e bruciare il castello stesso. Sorte analoga tocca poi al castello di Montegufoni.

Infine le soldataglie del Valentino, dirette all’assedio di Piombino,  attraversano il nostro territorio e passando per Poggibonsi, ci racconta il Nardi, “fecero stalle di cavalli delle chiese poste fuori della terra. Per il quale viaggio fu tanta grande la preda ch’e’ fecero, che, non potendo conducerla seco, davano per dua ducati il paio de’ buoi, e a simile pregio vendevano l’una delle fanciulle di quelle che essi non volevano seco ritenere. Né si vergognò il Valentino, essendo egli e il papa amico de’ Fiorentini (come egli e il papa usavano di dire) di ricercare e richiedere con ogni istanza i Sanesi di poter passare ne’ paesi loro a predare il bestiame de’ Fiorentini, che in gran quantità si trovava nelle loro maremme…”.

Vitellozzo non poteva sospettare allora che di lì a poco, appena l’anno dopo,  sarebbe stato vittima del suo spietato signore e duca Cesare Borgia, che lo fece strangolare, assieme a Oliverotto da Fermo, perché rei di aver congiurato contro di lui, invidiosi forse, o più probabilmente timorosi, del suo strapotere.

Ma nemmeno il Valentino poteva prevedere allora  la prossima repentina fine del suo sogno di principato, seguita alla morte del padre Alessandro VI avvenuta nel 1503 e all’ascesa al trono papale, dopo la meteora di pontificato durata appena ventisei giorni di Pio III,  del suo acerrimo nemico Giulio II della Rovere.

(V. anche Burresi-Minghi: “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700” - 2018)

In copertina: il papa Alessandro VI Borgia e il duca Cesare Borgia detto il Valentino

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