Il periodo nel quale si colloca la breve storia di Poggio Bonizio e, dopo la sua distruzione del 1270, il primo sviluppo della Poggibonsi in pianura fa parte di quel lunghissimo arco di tempo che noi, per nostra comodità, chiamiamo “medio evo”, associandolo spesso, arbitrariamente ed erroneamente, al concetto di barbarie, di epoca buia, anche se gli uomini di allora non avevano affatto tale percezione e molti di loro dettero prova di grande ingegno ed alta spiritualità. E’ vero che in un periodo così lungo di episodi di barbarie ve ne furono, eccome, ma se ci guardiamo un attimo attorno, anche la nostra epoca, perfino il momento che stiamo vivendo, è segnato da una lunga serie di episodi di grandi barbarie, magari più mascherate e sofisticate, ma per certi aspetti anche maggiormente deleterie.
La condizione di analfabetismo nel corso del Medioevo riguardava la stragrande maggioranza della popolazione. Poche erano le persone capaci di leggere e scrivere. E pur tuttavia, oggi, quando le percentuali sono praticamente rovesciate, sarebbe interessante verificare quante persone sono, pur avendo conseguito l’abilità pratica del leggere e dello scrivere, affette da quello che viene definito analfabetismo funzionale.
Nel medio evo l’istruzione, per quei pochi che potevano permettersela, nobili, uomini di chiesa, e poi borghesi, mercanti, professionisti e via dicendo, si basava sulle tradizionali “arti liberali”, suddivise, secondo lo schema classico, nel cosiddetto “trivio” (grammatica, retorica, dialettica) e nel “quadrivio” (aritmetica, musica, geometria, astronomia), cui, con lo sviluppo urbano, si aggiunsero poi altre discipline, di carattere speculativo, come la filosofia, la teologia, ma soprattutto pratico, come la fisica, la medicina, la farmaceutica, l’economia e via dicendo. Le arti liberali restarono pur tuttavia a rappresentare la base essenziale per chiunque poi volesse intraprendere qualsiasi sorta di studio universitario.
La grammatica in particolare era la prima materia insegnata ai giovani, ed aveva un aspetto metodologico, riguardante l’uso corretto della lingua latina nella sua declinazione e costruzione, ed uno letterario-contenutistico, che si occupava della lettura, interpretazione e commento degli autori classici più conosciuti. I “grammatici” erano coloro che insegnavano tali nozioni basilari per ogni forma, poi, di corso di studi e non molti erano bravi e capaci nel far compiere questo percorso formativo agli studenti.
La nostra Poggibonsi ebbe anch’essa i suoi bravi grammatici. Due di questi li troviamo operanti a Bologna nel periodo immediatamente successivo alla distruzione di Poggio Bonizio, probabilmente trasferitisi nella città emiliana dopo che una parte degli abitanti della città distrutta aveva scelto di emigrare verso altri luoghi in cerca di fortuna, come ci raccontano vari storici poggibonsesi.
Il primo è tale Bartolomeo di Lucchese, che è insegnante di grammatica a Bologna tra il 1277 e il 1279 (Cfr. G.Livi “Dante a Bologna” - 1921). Bartolomeo lo troviamo però di nuovo a Poggibonsi nel 1280, anno in cui compra in località Casaglia alcuni cospicui appezzamenti di terreno, segno evidente che l’esperienza bolognese era stata proficua. (Cfr. Boll. Senese di Storia Patria, 1894).
Il secondo è tale Guido di Bonaldo da Poggibonsi, che insegna grammatica a Bologna nel 1291, di cui non si conosce altro.(Cfr. Livi, cit.).
Ma il maestro di grammatica poggibonsese forse più noto di tutti, e, rarità a quei tempi, esperto grecista, è senza dubbio Giorgio Riesci, cui è dedicata anche una via della nostra città. Anche di lui non si hanno molte notizie, ma si sa che insegnò in Firenze a cavallo tra XV e XVI secolo e che a lui ricorse il futuro celebre letterato fiorentino Piero Vettori (1499-1585), insieme ad altri suoi giovani compagni di studio, desiderosi di conoscere e farsi commentare tra le altre cose alcune commedie di Aristofane. Il Riesci a quel tempo (presumibilmente la seconda decade del sec.XVI) era ormai diventato praticamente cieco, per cui si faceva leggere dagli studenti i vari passi degli autori classici, per poi commentarli e farci le sue considerazioni, sia riguardo al contenuto che al significato dei termini e al costrutto sintattico, fin dove poteva arrivare, viste le sue ormai precarie condizioni. Così racconta l’episodio Leonardo Salviati nella sua orazione funebre in onore e lode di Piero Vettori:
“… E raddoppioglisi [a Pier Vettori] la fatica dello imparare dalla carestia de’ maestri, che era allora così grande, che disiderando egli che le commedie di Aristofane gli fossono da chi che sia dichiarate, fu costretto con tre altri nobili giovinetti di sua età, di ricorrere perciò a un Maestro Giorgio Riesci da Poggibonzi, il quale essendo rimaso cieco, da lor medesimi si faceva leggere il testo, né altro diceva loro, se non la cotal voce depende dal cotal nome, è del tal numero, e del tal caso, e significa questa cosa, senza potergli poi nell’opera del concetto e del legamento o, come le dicono, costruzione, alcuno aiuto prestare, ma conveniva che per se stessi la ripescassero con estrema dificultà…”
In copertina Via Giorgio Riesci a Poggibonsi; A.Lorenzetti: “Effetti del Buon Governo”, particolare: il maestro.