Poggibonsi e Francesco di Lucchese, ''maestro di legname''

Poggibonsi e Francesco di Lucchese, ''maestro di legname''
francesco di lucchese
Nel 1435 Francesco da Poggibonsi lavora ad ultimare la sacrestia di S.Maria del Fiore, costruendo alcuni armadi per tale locale, con un salario di venti soldi al giorno nei mesi caldi

Il potere delle corporazioni artigiane crebbe, nella Firenze del tardo sec. XIII e nel secolo successivo, soprattutto in seguito ai famosi Ordinamenti di Giustizia del 1293, che aumentarono il numero delle Arti portandolo a 21 e che distinguevano tra Arti Maggiori  (7) e Minori (14), prevedendo l’iscrizione ad una delle prime per poter accedere al priorato o alla carica di gonfaloniere. Era un modo, per la società basata ora sulle attività lavorative e sul commercio, di porre un freno al potere della vecchia classe nobiliare e magnatizia. Lo stesso Dante dovette, come noto, adeguarsi ed iscriversi, pare, all’Arte dei Medici e Speziali.

Tra le Arti minori, due avevano a che fare con la lavorazione del legno. A quella dei Maestri di Pietra e Legname erano iscritti coloro che si occupavano prevalentemente di carpenteria edilizia e dovevano fornire quindi travi, capriate, tavole per le impalcature. Lavori più elaborati erano quelli degli iscritti all’Arte dei Legnaioli, alla quale spesso erano aggregati anche  i “dipintori”, che ornavano e decoravano i manufatti di legno, mobili per le abitazioni, cassapanche per i corredi delle spose, tavole d’altare per le chiese  e via dicendo. Sempre tra i legnaioli troviamo i bottai, fabbricanti di botti, barili, bigonce,  o i barlettai, costruttori di piccoli recipienti di legno da portarsi dietro in viaggio, i cestai, i bastai ed altri ancora.  Poi c’era anche il lavoro più raffinato, che prevedeva la scultura, l’intaglio, l’intarsio. Fare il legnaiolo richiedeva certe abilità. Era necessario “saper adoprare lo squadro, usar il compasso, saper fare d’un quadro un tondo e d’un tondo un quadro e saperlo ridurre in tante facce quante si vuole”, come si legge in un manuale del tempo. I legnaioli potevano lavorare sia per il mercato che su committenza.  L’esperienza si acquisiva nel tempo, come si deduce anche dalla celebre “Novella del Grasso legnaiolo” di Antonio di Tuccio Manetti, il biografo del Brunelleschi.

Il legname grezzo arrivava a Firenze dai boschi vicini, o anche da più lontano, dal Casentino o da Vallombrosa, via fiume. I tronchi, legati insieme, venivano affidati alla corrente dell’Arno, fino all’attuale Piazza Mentana, allora detta, appunto, Piazza delle Travi, perché lì i tronchi trovavano l’approdo e passavano quindi sotto le mani dei segatori e  poi dei barrocciai che li portavano alle varie botteghe artigiane.

- Bene, tutto questo cosa ha a che vedere con Poggibonsi? - si chiederà qualcuno. Un legame c’è tra questa attività e la nostra cittadina, perché nel sec. XV  troviamo rammentato tra i più competenti maestri legnaioli un artista poggibonsese, tale Francesco di Lucchese da Poggibonsi. Di lui sappiamo ben poco, ma lo troviamo nel 1435 elencato tra  gli artisti a libro paga dell’Opera del Duomo di Firenze. L’Opera del Duomo era stata fondata nel 1296;  poi,  terminata la costruzione della cattedrale nel 1436, l’Opera rimase in vita per occuparsi della manutenzione e del miglioramento del complesso edilizio. La gestione dell’Opera era affidata alla potente Arte della Lana, che nominava a capo un suo rappresentante. Le entrate derivavano da elargizioni private o del Comune di Firenze, ma soprattutto dalle tasse versate dai comuni del Contado, tra cui Poggibonsi, o anche dalla vendita di legname dei boschi di proprietà dell’Opera stessa.

Nel 1435 Francesco da Poggibonsi lavora ad ultimare la sacrestia di S.Maria del Fiore, costruendo alcuni armadi per tale locale, con un salario di venti soldi al giorno nei mesi caldi, dal 1 aprile al 30 settembre, e di 18 soldi dal 1 ottobre al 31 marzo. Ma l’opera per la quale Francesco è più ricordato e più noto è il coro ligneo situato oggi nell’Abbazia di Vallombrosa. Tale coro Francesco lo costruì inizialmente per la Chiesa di S.Pancrazio a Firenze, gestita allora dai Vallombrosani, poi però nel 1574 fu deciso il suo trasferimento presso  l’Abbazia di Vallombrosa, dove poi, nel 1695, fu ricollocato definitivamente nell’attuale posizione. Si tratta di un’opera pregevole, “ricca di  bellissimi intarsi con foglie e fiori e di eleganti intagli a volute”, come scrive Mauro Minghi. Sull’attribuzione del coro non ci sono dubbi, in quanto  in un punto del coro stesso si legge la scritta “HOC OPUS FECIT FRANCISCUS DE PODIOBONIZI”.

(V. anche Burresi-Minghi: “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al Settecento” - 2018;  M.Minghi: “Poggibonsi - I personaggi storici” - 1996; C. Frosinini: “La professione e la produzione artistica nella società fiorentina del sec. XIV e XV”)

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