Poggibonsi e alcuni miracoli di San Lucchese

Poggibonsi e alcuni miracoli di San Lucchese
san lucchese
Già dal Medioevo si affermano e diffondono due generi letterari aventi alcuni elementi in comune: l'agiografia e la fiaba

Già dal Medioevo si affermano e diffondono due generi letterari aventi alcuni elementi in comune: l’agiografia e la fiaba. In entrambi i generi si parla dei bisogni, delle paure, delle criticità umane e  in entrambi si assiste a risposte a queste criticità che avvengono sotto forma di prodigi, sia che si tratti di un santo a procurarli oppure un oggetto magico, bacchetta, acciarino, lampada e via dicendo. Due facce, una religiosa, l’altra laica, popolare, di una stessa medaglia: la precaria condizione dell’uomo.

Le vite dei santi seguono di solito un identico cliché: la vita del santo prima della “conversione”, spesso smodata e a volte perfino violenta, l’illuminazione divina e il conseguente distacco dai beni materiali, le dure prove che ne misurano la fede, la vita spesa poi per il bene degli altri, quindi i miracoli e l’elezione a santo protettore di una comunità.

Anche la vita del nostro San Lucchese non esce da questo cliché: inizialmente implicato per la parte guelfa nelle contese tra fazioni, proprietario di terre, quindi bottegaio e commerciante di granaglie, molto attento ai propri interessi ed anche avido al punto da desiderare l’avvento di una carestia, la quale gli avrebbe permesso, con le scorte messe da parte, nuovi guadagni e affari d’oro. Poi l’incontro con S.Francesco e il cambio totale di vita. Una vita tutta dedita al bene degli altri, che lo vede soccorrere i bisognosi, portare gli infermi in ospedale con l’asinello o addirittura a spalla, andare nella stagione estiva a soccorrere i lavoranti in Maremma recando loro viveri e medicinali, in un ambiente tanto pernicioso e inospitale. Ed infine, i primi miracoli, che gli valsero, per i poggibonsesi, l’elezione a santo protettore della città.

Nelle “Vite de’ santi, beati e venerabili servi di Dio del terz’ordine di San Francesco”, stampate in Venezia nell’anno 1725, il compilatore ne rammenta almeno una ventina di miracoli di San Lucchese. Ed è interessante soprattutto notare il genere di tali miracoli. Nella gran parte dei casi si tratta di guarigioni miracolose: persone che riacquistano la vista, che superano indenni pericolose malattie, che recuperano la capacità di muovere gli arti  dopo un brutto incidente, che si salvano da situazioni di estremo pericolo, come il fuoco di un incendio  o la caduta dentro un pozzo profondo. Ma si danno anche casi di poggibonsesi e non solo, incarcerati ingiustamente,  che riescono a fuggire dalle mura di una prigione, sotto gli occhi esterrefatti delle guardie, come capita a tre poggibonsesi incarcerati a Firenze, o ad un certo Buondapescia, in carcere a S.Gimignano, o ad un tale di Volterra, sempre in carcere nella città delle torri come prigioniero di guerra.

In altri casi San Lucchese viene chiamato a dominare gli elementi della natura. E’ il caso di fra’ Bartolomeo Tolomei, che si trova con alcuni compagni di viaggio su una nave al largo di Genova, sballottata pericolosamente sulle onde da una terribile tempesta. Vistisi in pericolo ed esortati da fra’ Bartolomeo, tutti invocano il nome di S,Lucchese. Questi allora appare ai naviganti, la tempesta miracolosamente si placa e tutti possono sbarcare senza danni nel porto di Savona. O ancora il caso di una donna di Montemorli, che muore lasciando un figlio lattante con la sola nonna. Questa  si raccomanda a S.Lucchese non sapendo come allevare il bambino e improvvisamente, benché sessagenaria, ecco che le riappare il latte, con meraviglia di tutto il vicinato.

Si hanno infine casi di vittoria del santo sulla stessa morte: fanciulli che risorgono, ormai dati per morti, all’invocazione del santo, come il figlio di un tal Boninsegna di Poggibonsi.

Ma il miracolo forse più spettacolare è quello accaduto a Recanati, nelle Marche, dove nel trecento il signore del luogo, per porre fine ai frequenti omicidi che avvenivano nel suo territorio, fece una legge  che prevedeva  che in caso di omicidio il corpo  dell’omicida fosse legato insieme a quello dell’ucciso e sepolto vivo.

Ora accadde un giorno che vi fu una lite tra due fratelli ed uno uccise l’altro, per cui  fu ordinato di seppellirli entrambe, il morto e l’omicida, nel cimitero del convento dei frati minori.  Il giorno seguente alla sepoltura, dei ragazzi che si trovavano nei pressi del cimitero a giocare sentirono dei rumori provenienti da sottoterra, quindi addirittura delle voci che gridavano: “Abbiate di noi misericordia, perché siamo vivi!”.

E infatti, una volta che furono avvertiti i frati e fu scavata la tomba, i due fratelli furono trovati entrambi vivi, per cui  furono chiamate tutte le autorità, il signore del luogo, il vescovo con tutto il clero per capirne di più. Quando fu chiesta ai due fratelli una spiegazione del prodigio, colui che era stato ucciso rispose: “Signori, ferito che io fui, veggendomi vicino alla morte, primieramente perdonai di buon cuore al mio fratello, ed appresso, tutto contriso, mi raccomandai a Dio e al Beato Lucchese, di cui io avevo cognizione per essere stata l’avola mia materna per Patria da Poggibonsi di Toscana, ed averlo io sempre avuto in divozione infin da fanciullo, per consiglio di mia madre, che aveva nome Giovanna, dalla quale gran cose ne sentii ragionare”.

Dopodiché il fratello omicida aggiunse: “Quando io mi vidi così nudo, con le mani legate al morto corpo di questo mio fratello per dover essere seco sotterrato vivo, tutto contriso pregai l’istesso Beato Lucchese, nel quale avevo anch’io similmente devozione, che per i suoi meriti e preci volesse impetrarmi grazia da Dio, che io scampassi da sì crudele e così atroce morte e che se ciò ottenevo, mi sarei fatto Frate dell’Ordine di San Francesco”.

La madre dei due giovani confermò di aver cresciuto i due figli fin da piccoli come devoti del Beato Lucchese e di averne raccomandato a lui di uno il corpo, dell’altro l’anima. Tutte le autorità rimasero stupite del prodigio, dopodiché l’ucciso se ne andò a casa con la madre, mentre l’uccisore prese l’abito dei frati minori francescani.

(V. “Vite de’ santi, beati e venerabili servi di Dio del terz’ordine di San Francesco estratte con ogni diligenza dal Novissimo Leggendario Francescano già ridotto in dodici tomi dal padre Pietr’Antonio di Venezia” - Venezia, 1725)

Nelle immagini: la basilica di San Lucchese in una vecchia immagine, con i cipressi ancora davanti al loggiato e San Lucchese secondo Memmo di Filippuccio, sacrestia della basilica.

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