“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, questo fa dire Dante alla sua guida Virgilio nel canto III dell’Inferno, a proposito degli ignavi, riprendendo un concetto simile espresso dal suo “maestro” Brunetto Latini, anni prima, nel “Tesoretto”. Ma quando, nel canto XV, incontra, appunto, proprio tale suo maestro, Dante vorrebbe ragionare invece, eccome! Anche se siamo tra i sodomiti e l’omosessualità è considerata allora dalla Chiesa un grave peccato ed è punita con pene pecuniarie, ma anche fisiche, fino alla condanna a morte, dalla legislazione civile dei vari stati del tempo. Ma Dante non può ignorare colui che gli ha dato molte fonti di ispirazione e altrettanti insegnamenti, soprattutto con il suo “Livre du Tresor”, scritto prima nella lingua d’oil e che poi, tradotto nel volgare italiano, aveva avuto una notevole diffusione manoscritta.
Era, il Tresor, una vera e propria prima “enciclopedia” medievale, che trattava di storia come di scienza, di filosofia come di politica. Brunetto lo aveva scritto in Francia. Notaio, oltre che letterato, era stato mandato dal suo partito guelfo in Castiglia a chiedere aiuto contro i ghibellini al re Alfonso X, ma sulla via del ritorno, nel 1260, aveva appreso la notizia della disfatta guelfa a Montaperti, per cui aveva pensato bene di scegliere la via dell’esilio. Esilio terminato pochi anni dopo, con la rivincita guelfa a Benevento del 1266. Rientrato, in seguito al capovolgimento del quadro politico, a Firenze, lo troviamo nel 1267 sotto le mura della nostra Poggiobonizio assediata dalle truppe di Carlo d’Angiò a sottoscrivere nel campo angioino un atto notarile, appunto, "in presenti exercitu obsidionis Podii Bonicçi".
Forse anche per una maggiore possibilità di diffusione, comprensione e soprattutto memorizzazione dei concetti, afferma lo studioso Alessandro D’Ancona, del “Livre du Tresor” del Latini se ne fecero poi anche alcune copie in versi, che in qualche caso stravolgevano un po’ la versione originale, con alcune omissioni, inclusioni ed aggiunte.
Di queste versioni una è attribuita con certezza a tale fra’Mauro di Pogibonizi, di cui si sa solo che proviene dal monastero di S.Michele in Marturi, il quale al termine del lavoro aggiunge di sua mano più di quaranta versi nei quali dichiara di aver “scritto” (il che può anche voler dire semplicemente copiato) l’opera nell’anno 1310, al tempo del papa Clemente V.
Fra’Mauro sembra sentirsi orgogliosamente poggibonizzese quando racconta in rima, così, con realismo e con qualche nota personale, l’ origine, l’edificazione e la fortificazione della vecchia Poggiobonizio. In ordine, il frate accenna alla donazione di grandi ricchezze fatta dal marchese Ugo di Toscana all’Abbazia di S.Michele a Marturi, alla propria origine poggibonizzese, alla data di edificazione (1156) di Poggiobonizio, alla battaglia che si combatté lo stesso anno presso il Sasso Gocciolino contro i Fiorentini, che vi furono sconfitti, all’origine da Bonizo del nome della città di Poggiobonizio, alla grande robustezza delle fortificazioni e delle mura della città (porte ben murate, di buone pietre, di calcina pura).
Così scrive, questa volta manu propria, fra’ Mauro:
“Al tempo che reggea Papa Clemente
la papale sede nella inditione corrente
mille treciento X lo scrissi
io Mauro adgiunsi et dissi,
ne la reale badia et munistero
brevilegiato da Papa e da Piero,
situ Martile è '1 luogo posto,
vochabulo n'è san Michele in gran proposto
di gran richezza e bella possesione
fondato da Ugo il gran barone. (Verso mancante, immaginato dai critici)
Questo Ugho marchio in Fiorenza giace,
Iddio riposi lui et noi in pace.
Tuttor che '1 detto libro mentione
faccia d'alchuna psechutione
di Pogibonizi donde sono natìo,
dond'è mia schiatta e mio parentìo,
sechondamente ch'io aggio trovato
fu Pogibonizi prima edifichato
nel mille ciento cinquantasei anni corenti
che Dio incharnò e stette colle gienti
vi enspugnato fu il fiorentino
dove si disse al Sasso Ghucciolino
a nove dì d'Aprile, temperato mese,
a presso a rivo, nome Martolese,
che corre poco e '1 suo nome perde
ne l'Elsa, ch'è un fiume bello e verde.
Quindici dì dopo la sconfittura
di prima in Pogibonizi fé' mura:
quel poggio truovo che à una boscaglia
di piccioli albucielli di gran prunaglia:
per uno romito ch'ivi incarcerato
nomine Bonizo, fu il castello chiamato.
Il poggio s'achasò e belle rughe,
e li abitanti davano di gran fughe,
a loro vicini per lo gran choraggio;
facieno spesso villania et oltraggio
in alchuno luogo a due inchastellate;
feciono al poggio porte ben murate
di buone pietre, di chalcina pura
era cerchiato d’alte e grosse mura,
suo fossi in alchuno lato
ampi ciascuno, ripido, raggreppato
multiplicò in giente infino al tempo et grande
finchè ‘l suo poggio tenne le ghirlande.
(V. D’Ancona A. “Il Tesoro di Brunetto Latini versificato” - 1887)
Nell'immagine in copertina l’incontro di Dante e Virgilio con Brunetto Latini, canto XV Inferno, in un’illustrazione di Gustave Doré