Intervista a Katia Beni e Benedetta Giuntini, prima dello spettacolo ''Diritti o rovesci... Ma pari!''

Intervista a Katia Beni e Benedetta Giuntini, prima dello spettacolo ''Diritti o rovesci... Ma pari!''
l'intervista
Due donne, con caratteri e comportamenti totalmente differenti

Due donne, con caratteri e comportamenti totalmente differenti. Due grandi interpreti con percorsi di vita e professionali molto diversi tra loro, ma un’anima comune, che s’incontreranno giovedì 29 Febbraio alle 21 sul palcoscenico del Multisala Boccaccio di Certaldo per “Diritti e rovesci… ma pari!”, spettacolo giunto già alla ventesima replica, da loro stesse scritto e interpretato. Da un lato Katia Beni, mattatrice comica con una lunga esperienza in fiction, teatro e cinema. Dall’altro Benedetta Giuntini, figlia del teatro drammatico e allieva di Giorgio Albertazzi. Sulla scena si completano a vicenda e regalano allo spettatore una performance divertente, ma non insipida, leggera secondo quella leggerezza di cui tanto parlava Italo Calvino, cioè una sfida (vinta, in questo caso) per elevarsi rispetto alla pesantezza della realtà.

Com’è nata l’idea di questo spettacolo?

K e B: “L'idea è nata per un’occasione specifica, cioè l’edizione del 2022 del festival Donne al centro a Empoli. Per l’occorrenza abbiamo pensato a qualcosa di brillante, di comico ma con la capacità di far riflettere allo stesso tempo e che trattasse i temi del festival. Abbiamo pensato al format del talk show, con un ospite e un intervistatore. In questo caso una giornalista svampita, con aspirazioni da attrice, intervista controvoglia un’attrice comica conosciuta. Lo spettacolo è piaciuto e l’abbiamo portato al Teatro Verdi di Pisa, al Teatro comunale di Cavriglia, ad Arezzo… possiamo dire che è nato sotto una buona stella”.

Era la prima volta che lavoravate insieme?

K: “Sì, era la prima volta in assoluto che abbiamo realizzato qualcosa insieme. Ci siamo conosciute a Cascina, in occasione di un corso sulla comicità tenuto da me e Anna Meacci. Benedetta, nonostante ci fossero partecipanti molto agguerriti, è una delle persone che è emersa di più. Non tanto per la sua parte comica, ma per la sua capacità di stare accanto ai comici. Ha fatto degli sketch che sono tra i più riusciti di quegli anni, perché sapeva riconoscere i momenti giusti”.

Quali sono i punti di forza dello spettacolo?

K e B: “La semplicità. In scena, oltre a noi, ci sono solamente un tavolino e due sedie, quindi è tutto basato sulla recitazione, sui tempi comici, sulle nostre interazioni. Un'altra forza a livello scenico è sicuramente la nostra diversità (fisica, nell'abbigliamento, nella gestualità...), che abbiamo esasperato per giocare ed evidenziare il contrasto. Lo spettacolo poi ha una grossa verità e sincerità di fondo. Parliamo di diritti, di body positive, di donne e scienza, della difficoltà di conciliare vita e lavoro… ma con il sorriso”.

Cosa c’è di vero nello spettacolo?

B: “Io interpreto una giornalista completamente fuori di testa, che è lì soltanto perché viene pagata ma che in realtà vorrebbe fare l’attrice impegnata. Oltretutto lei odia i comici perché per lei il teatro dovrebbe essere impegnato e per tutta l’intervista fa una sorta di opposizione. Ecco, io non la penso così anche se sono un’attrice, anzi ho sempre reputato la versatilità un grande valore. Tutte le gag invece sono vere! Ogni volta che facevamo le prove ci veniva sul momento una battuta o uno sketch”.

Com’è lavorare con Katia Beni?

B: “È impegnativo - ride - è una grande professionista, quindi super pignola e precisa, perché non è approssimativa. Va a scavare, non resta sulla superficie. Ho imparato molto da lei anche in questo spettacolo, che ha significato tantissimo per me, forse più di dieci corsi insieme”.

Com’è lavorare con Benedetta Giuntini?

K: “Benedetta è una forza della natura, una persona che trasmette una grande carica e alza sempre il morale. Non si demoralizza, ha tanta voglia di fare… per me lavorare con lei è molto stimolante e anche divertente. Come le dico sempre, se l'avessi conosciuta prima, avrei fatto molte più cose!”.

Cosa si porta a casa chi vede lo spettacolo?

B: “Si instaura un meccanismo di riflessione sia sul mondo al femminile, sulla donna come oggetto e poi su quanto la comicità possa aiutare anche a superare delle difficoltà per essere noi stesse, scollegate dall'apparenza”.

Pensando al successo di programmi come LOL o ad altre stand up comedy, è una percezione o c'è come una maggiore proposta di comicità, anche in tv?

K: “Sì, assolutamente. Viviamo in un mondo che è poco rassicurante, da tutti i punti di vista, e le persone hanno bisogno di sorridere e di ridere. La comicità è un antidepressivo, che aiuta a superare e ad esorcizzare le paure. È anche un modo per parlare ad una fetta di pubblico più ampio di certe tematiche, che altrimenti coinvolgerebbero solo una minoranza di persone. Come diceva Chaplin, da una prospettiva più lontana c'è una chiave comica anche nelle tragedie. Ma la comicità non è bella solo da vedere, anche da fare, perché aiuta a stare bene con se stessi, ad essere autoironici, a vivere meglio con la propria parte perdente e con le insicurezze di ognuno. Abbiamo una grande responsabilità noi comici, perché facciamo del bene alle persone”.

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