Galileo a Poggibonsi, 16 ottobre 1636, la scienza rompe le catene e spicca il volo

Galileo a Poggibonsi, 16 ottobre 1636, la scienza rompe le catene e spicca il volo
galileo galilei
Per raggiungere Roma al fine di presentarsi davanti al tribunale ecclesiastico Galileo transitò una prima volta da Poggibonsi su una lettiga granducale messagli a disposizione da Ferdinando II dei Medici

Il difficile e spesso conflittuale rapporto tra scienza e religione toccò sicuramente il suo apice il 22 giugno 1633 con il processo istruito dal S.Uffizio che condannava Galileo e il suo sostegno alla teoria eliocentrica, costringendolo, contro le sue convinzioni ed  onde evitare guai peggiori, alla celebre abiura.

Per raggiungere Roma al fine di presentarsi davanti al tribunale ecclesiastico Galileo transitò una prima volta da Poggibonsi su una lettiga granducale messagli a disposizione da Ferdinando II dei Medici perché il viaggio gli risultasse meno disagiato, viste anche le sue precarie condizioni di salute e la sua avanzata età. Tale  viaggio tuttavia fu ugualmente assai travagliato, data l’epidemia  di peste che imperversava per le contrade da attraversare e le obbligate e lunghe soste di quarantena cui Galileo dovette sottoporsi.

Anche a Poggibonsi c’era  la peste ed era stato mandato da Firenze per affrontare la difficile situazione un commissario alla salute, tale Niccolò Cini, persona efficiente ed energica, nonché ex-allievo di Galileo ed ora suo affezionatissimo amico. Galileo gli aveva fatto dono di un suo cannocchiale  ed il Cini ricambiava adesso con il vino e l’olio dei suoi poderi. Proprio da Poggibonsi il Cini spedì alcune lettere a Galileo per augurargli un buon esito del processo ed esternargli il desiderio di poterlo incontrare al suo ritorno verso casa, a Poggibonsi,  ma le cose andarono poi diversamente. Il processo finì con la netta condanna, l’umiliazione di Galileo e la sua vita da confinato sotto rigido controllo degli inquisitori. Galileo ottenne di soggiornare per un certo tempo a Siena presso il Palazzo delle Papesse, ospite dell’amico arcivescovo Ascanio Piccolomini, suo ammiratore, che aveva conosciuto presso la corte medicea e allorché finalmente gli fu concesso di far ritorno alla sua residenza di Arcetri transitò da Poggibonsi quando ormai l’epidemia di peste era passata ed il Cini non c’era più.

Ad Arcetri Galileo poté contare sull’affetto della figlia, suor Maria Celeste, che lo aveva confortato anche durante la sua assenza con le sue premurose  lettere e che ora si prese cura di lui, sia pur per poco tempo, in quanto morì  l’anno dopo, afflitta da cagionevole salute, nel 1634.

Quella di Arcetri può essere definita una dorata prigionia, in quanto a Galileo era proibita ogni possibilità di divulgazione delle proprie idee e di dialogo aperto  con altri uomini di scienza. La censura ecclesiastica gli imponeva di vivere “con ritiratezza e senza ammettere molte persone insieme a discorsi, né a mangiare”. Una dura condanna per uno scienziato quale Galileo, che solo raramente e a suo rischio riusciva ad eludere ogni tanto il muro di isolamento che gli era stato costruito attorno.

Sempre nel 1634, intanto, giunse però a Roma come ambasciatore francese  presso il papa il conte Francesco di Noailles, anch’egli ex-allievo di Galileo all’università di Padova, dove  nel 1603 aveva seguito alcune sue lezioni sull’uso del compasso geometrico e militare. Il Noailles, venuto a conoscenza delle tristi condizioni dell’ex-maestro, insieme all’ambasciatore toscano presso la S.Sede  Francesco Niccolini, fece di tutto per alleviare in qualche modo la condanna  e migliorarne le condizioni di vita, ma dal papa Urbano VIII  non ottenne niente, tranne, due anni dopo, nel 1636, il permesso di poter incontrare Galileo per un breve saluto a Poggibonsi. Il Noailles doveva rientrare velocemente in Francia e passare da Firenze avrebbe comportato per lui una doverosa visita al granduca, con notevole dispendio di tempo;  da Poggibonsi invece avrebbe potuto prendere direttamente la strada per Pisa e Livorno. Scrisse quindi una lettera a Galileo da Bassano di Sutri con la quale lo avvertiva del permesso ricevuto di incontrarlo e che lui sarebbe stato a Poggibonsi il 16 ottobre.

Galileo nel frattempo, dal canto suo, pur non potendo avere normali rapporti con il mondo accademico e con l’esterno in genere, non aveva per questo rinunciato alla sua attività scientifica ed aveva intrapreso la stesura di una nuova opera che lui riteneva ancora più importante del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, opera che poi prese il titolo di “Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze”. Tali “Discorsi”, scrisse infatti Galileo, contenevano “due intere scienze tutte nuovissime… per lo che leggera stima fo di tutto quello che fin qui  ha visto il mondo di mio in comparazione di questo che resta a vedere”.

Il problema era come riuscire a stampare tale opera, aggirando la rigida censura ecclesiastica ed evitando nuove e più severe condanne. Un tentativo Galileo lo fece nel 1635 tramite l’amico padre servita  Fulgenzio Micanzio, che si trovava a Venezia e a cui Galileo riuscì a far pervenire alcune parti del suo lavoro, ma dallo stesso ricevette una  prima risposta negativa, perché nessun editore si prestava a stampare una sua opera visto il netto divieto della Chiesa. Fallirono ugualmente anche altri tentativi fatti, tramite l’amico Giovanni Pieroni da S.Miniato, ingegnere imperiale, di stampare l’opera in Germania, dedicandola all’imperatore. Finalmente, nel luglio 1636 si trovò a passare da Venezia l’editore olandese Lodovico Elzevier,  al quale il Micanzio consegnò i manoscritti in suo possesso. Altri capitoli, sempre tramite lo stesso canale veneziano, furono recapitati allo stesso editore  l’anno successivo.

Nel frattempo però Galileo, usufruendo del permesso straordinario concessogli di incontrare il conte di Noailles a Poggibonsi, consegnò anche  a questi una copia completa del suo ultimo lavoro. L’incontro tra il Noailles e Galileo a Poggibonsi avvenne il  16 ottobre 1636, non si sa bene dove, se in un albergo o alla stazione di posta o in altro luogo. Si trattò certo di un breve incontro di saluto, ma sufficiente a Galileo per far pervenire oltre frontiera anche tramite un altro canale la sua ultima fatica di scienziato, il libro a cui teneva tanto, più di ogni cosa e che per lui significava una sorta di ideale rivincita contro l’ingiustizia subita.

 La stampa del libro avvenne alla fine in Olanda, a Leida, nel 1638. Per evitare nuovi guai e persecuzioni da parte del tribunale ecclesiastico, Galileo ricorse ad un furbesco escamotage: nella dedica che fece al Conte di Noailles finse infatti di non aver preso parte all’idea della stampa, come se l’iniziativa fosse stata presa  direttamente dall’editore Elzeveir a sua insaputa dopo che questi, non si sa come, ma forse grazie alla diffusione fatta tra gli amici appassionati di scienza dallo stesso Conte di Noailles, era venuto in possesso del manoscritto.

 Da Poggibonsi, quindi, e da Venezia, si può dire che la scienza in qualche maniera prese il volo verso la libertà dalle catene che a quei tempi la limitavano e la comprimevano duramente.

Gli inquisitori naturalmente non credettero alle parole di Galileo e la sorveglianza stretta su di lui continuò, nonostante la ormai quasi completa cecità dello scienziato e i suoi molteplici acciacchi, tanto che un cugino dello scienziato, Roberto Galilei, si sentì l’ardire di scrivere da Lione a Galileo queste parole: “…Bisogna dire che li suoi nemici sieno piuttosto diavoli che uomini, giacché ad altri predicano la riconciliazione e per loro osservano la vendetta…”.

 Infatti, ancora  il 4 febbraio 1638 il papa scrisse all’Inquisitore di Firenze di informarsi sulle malattie di Galileo e se il vecchio scienziato potesse “originare riunioni, conversazioni e discorsi con cui venisse risvegliata la sua dannata opinione del movimento della terra e della stabilità del cielo”. L’Inquisitore rispose che  le condizioni di salute di Galileo erano tali che bastava “una buona ammonizione per tenerlo a freno”. Così venne concesso a Galileo di trasferirsi temporaneamente in una casa di  Firenze, con l’ordine però di “non uscire per la città, con pena di carcere formale in vita e di scomunica, di non entrare  con chi si sia a discorrere della sua dannata opinione del moto della terra”.

Galileo si spense qualche tempo dopo, l’8 gennaio del 1642. Le sue idee però circolarono, in Italia ed oltre, nonostante la censura, anche grazie a quell’ultimo viaggio che gli era stato concesso, dal confino di Arcetri alla nostra città di  Poggibonsi.

 

(Per ulteriori dettagli v. anche  Burresi-Minghi “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700” – 2018)

 

In copertina: Galileo davanti al tribunale ecclesiastico, olio su tela di Cristiano Banti, 1857

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Condividi questo articolo:

Potrebbero interessarti