I miei ricordi di infanzia relativi alla vigilia di S.Lucchese sono legati, ovviamente, ai fuochi, che ci vedevano impegnati, noi ragazzi, nella ricerca di fascine e legna da bruciare. Ancora non si parlava di pancali. Ma quello che ricordo con maggiore intensità e piacere è lo spettacolo che vedevamo dalla nostra casa di Calcinaia, quella dove ancora abito. La campagna intera brulicava di fuochi sparsi, vicini, lontani, che si accendevano quasi contemporaneamente, magicamente, vicino ad ogni casa, in ogni podere, anche i più lontani, fino alle colline del Chianti. La mia nonna conosceva molti contadini dei vari poderi circostanti e commentava su chi aveva più potature da bruciare, ossia su chi aveva fatto il fuoco più bello.
Ho provato, (brutalmente perché non mi intendo di ritocco fotografico), a modificare un quadro fatto da un mio parente negli anni ’20 del secolo scorso che rappresenta appunto la campagna che si vede dalla mia casa, con la vallata dei Carfini, i cipressi di Strozzavolpe, i vari poderi, tanto per cercare di dare un barlume di idea ai più giovani di quello che era allora lo spettacolo che si offriva alla vista il 27 Aprile.
Quella che si provava quella sera era una sensazione di comunione di sentimenti. La sensazione di vedere che entro l’orizzonte consentito tante persone come noi, nelle loro case, si preparavano alla festa, una sorta di “Sabato del villaggio”, che univa sacro e profano, credenti o meno, nella voglia di vivere in onore del patrono una giornata diversa dalle altre. Fiera di beneficienza, profumo di brigidini, zucchero filato, croccante, collane di nocciole, girandoline e palloncini volanti… Oggi, se si vuole, è sempre festa, ci sono mille modi di festeggiare. Allora era diverso e questa sensazione di comunione di sentimenti e di bellezza insieme ormai resterà solo nel ricordo dei più anziani.