Famiglie e comunità sono sotto shock dopo l’ennesimo efferato femminicidio dall’inizio dell’anno. L’opinione pubblica e la politica si stanno muovendo, e una bussola sui fiumi di parole di questi giorni e le azioni del Governo era doverosa soprattutto in vista del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Abbiamo posto alcune domande alla presidente e alla vice presidente del Centro Antiviolenza Valdelsa, ogni giorno in prima linea per proteggere le donne e contrastare il fenomeno. Ecco cosa hanno risposto la presidente, l’Avv. Caterina Suchan, e la vice presidente, la dott.ssa Elena Pullara.
Dott.ssa Elena Pullara, si è consumato il 105esimo femminicidio del 2023: lo sdegno e la preoccupazione dell’opinione pubblica per il fenomeno della violenza sulle donne sembra cresciuto, tra toni e manifestazioni. Verità o risonanza mediatica?
“Credo che l’aumento dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica al tema dei femminicidi e della violenza di genere sia conseguenza anche dell’importante lavoro di sensibilizzazione che da anni attiviste, associazioni, Centri AntiViolenza e singole personalità hanno svolto a tutti i livelli della nostra società. Negli ultimi venti anni tanto, anzi tantissimo, è stato fatto per sensibilizzare l’opinione pubblica su un fenomeno che i dati a nostra disposizione dicono essere endemico e stabile. Dal punto di vista scientifico non è corretto affermare che la violenza sia in aumento. Sicuramente e fortunatamente è in aumento la volontà delle donne di denunciare e porre fine a situazioni di violenza e di conseguenza è in aumento l’emersione del fenomeno. I dati indicano, infatti, che ancora oggi la maggior parte delle donne che subiscono forme di violenza in famiglia e nelle relazioni intime non denunciano e non ne parlano”.
“Molta è stata la risonanza mediatica dei femminicidi di Giulia Tramontano e di Giulia Cecchettin. Si tratta di due vicende che sfidano apertamente gli stereotipi sulla violenza di genere come un fenomeno agito e subito soprattutto da stranieri/e, disoccupati/e, fragili e appartenenti a ceti sociali svantaggiati. In entrambi i casi, la ferocia omicida ha riguardato due giovani donne italiane, provenienti da famiglie normalissime e contesti sociali sani. Due donne capaci e istruite. Queste due morti, forse più di altre, hanno mostrato all’opinione pubblica l’inconsistenza dei classici alibi della ragazza sprovveduta e ubriaca che ha incontrato il lupo o della moglie infedele che ha distrutto la famiglia. La banalità del male che ha causato la loro terribile scomparsa ha aperto una breccia di consapevolezza sull’origine socio-culturale del fenomeno”.
Dott.ssa Pullara, le affermazioni fatte da giornalisti e professionisti stanno mettendo finalmente a fuoco il fenomeno della violenza, o ragioniamo ancora per slogan e luoghi comuni dannosi per la lotta contro la violenza sulle donne? Ci può fare un esempio?
“Nel corso delle ultime settimane si è aperto un ampio dibattito intorno alla vicenda di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex-fidanzato Filippo Turetta. Molte sono le voci e le opinioni espresse da persone poco informate sul fenomeno che rischiano di riproporre slogan e luoghi comuni dannosi. Una breccia, però, si è aperta e il merito credo sia stato soprattutto di Elena Cecchettin, la sorella della vittima. Elena è riuscita a raccontare la vicenda della sorella portando sulla scena pubblica argomentazioni e riflessioni che da anni i Centri AntiViolenza e i movimenti femministi come Non Una di Meno, cercano di veicolare. La sua lucidità e il suo rigore argomentativo creano un importante precedente e un importante avanzamento nella narrazione pubblica della violenza. Un esempio: Elena ha chiesto che l’omicida non venga definito ‘mostro’ perché con questa etichetta rischiamo di allontanare il problema dalla nostra quotidianità e relegarlo a un luogo poco frequentato, quello dell’eccezionalità, del disagio, della crudeltà innata e inspiegabile. Sappiamo, invece, che la maggior parte dei femminicidi sono commessi da uomini che non presentano alcun disturbo psichiatrico conclamato, che non abusano di sostanze e che hanno vite apparentemente normalissime. È molto importante, a mio giudizio, far comprendere sempre di più che il femminicidio non è un evento isolato, frutto di un raptus di una mente malata, ma è l’estremo esito di un insieme di forme di violenza, alcune sottili, come i commenti sessisti e svalutanti, altri più gravi, come le percosse, il controllo ossessivo e le aggressioni a sfondo sessuale. Mi piacerebbe che il sistema dei media si interessasse anche di quelle migliaia di donne in Italia che in questo stesso momento in cui scrivo sono a rischio di vita o di gravi danni alla loro sfera psichica, fisica e sessuale. Voglio lanciare uno slogan: parlate di noi anche da vive. Le donne che non sono sopravvissute le portiamo ogni giorno nel cuore con noi, ma è alle donne ancora vive e in pericolo che dobbiamo il nostro impegno e gli sforzi della società tutta. Questo è quello che cerchiamo di praticare ogni giorno nei nostri Centri. Aiutare le donne a riconoscere e ad uscire dalla violenza è prevenzione dei femminicidi e tutti possiamo farlo nel nostro quotidiano”.
Il punto sulla violenza di genere in Valdelsa nel 2023: i dati
“Il CAV Donne Insieme Valdelsa - prosegue Pullara - ha accolto nel 2023 80 donne (delle quali 24 avevano cominciato il loro percorso negli anni precedenti). I dati che presentiamo di seguito, riguardano le 49 donne che hanno fatto il primo accesso nel periodo 1° Gennaio - 31 Ottobre 2023”.
“I dati a nostra disposizione mostrano che la maggior parte delle donne che si rivolgono ai nostri servizi sono cittadine italiane, in linea con i dati degli ultimi dieci anni, ma, per la prima volta, osserviamo un sensibile aumento della proporzione di donne straniere che storicamente hanno rappresentato meno del 30 % della nostra utenza, mentre nel 2023 sono circa il 40%. La maggioranza delle nostre utenti risiedono nei comuni dell’Altavaldelsa: sono 38 in numero assoluto le nostre concittadine che si sono rivolte al CAV”.
“L’età media si abbassa, in linea con alcuni dati nazionali resi noti da altre istituzioni (penso a Roia che ha parlato di un 40% di minori di 30 anni in Procura a Milano): il 27% del nostro campione di utenza ha meno di 30 anni. I dati confermano, seppur di misura, che la fascia di età in cui questo fenomeno è prevalente è la fascia 30-50 anni, l’età della famiglia, che da sola copre il 60% del nostro campione. A conferma di questo dato, il 60% circa degli autori sono i mariti e i partner conviventi, mentre un buon 20% è composto da ex mariti ed ex partner conviventi. I nostri dati confermano quindi che la violenza maschile sulle donne si annida soprattutto nei rapporti stabili”.