Con il basso medioevo, la rinascita delle città, dei commerci e di un’economia aperta riprendono anche i viaggi su larga scala, a scopo commerciale, ma non solo, e con questi i pellegrinaggi. Superata la fase critica delle crociate, i viaggi in Terrasanta riprendono con maggiore intensità nel sec. XIV. Ne è testimonianza, come descritto in un recente articolo, il nostro concittadino fra’ Niccolò, autore, tra l’altro, di un primo importante resoconto di viaggio in lingua volgare. Il tema del pellegrinaggio e la descrizione del pellegrino con tutto quello che si porta dentro entra così a far parte della letteratura.
Molti sono gli autori, anche di rilievo, che trattano il tema del pellegrinaggio. Chaucer, ad esempio, usa la figura del pellegrino per fare da cornice ai suoi celebri “Racconti di Canterbury”. Dante più volte ricorre alla psicologia del pellegrino per descrivere il suo stesso stato d’animo, pellegrino anche lui in un difficile viaggio di redenzione, come nel canto XXIII del Purgatorio o nel XXXI del Paradiso, per arrivare infine al celebre sonetto “Movesi il vecchierel canuto e bianco” del Petrarca, che racconta lo stupore di una famigliola nel veder mettersi in cammino il vecchio capofamiglia al fine di scorgere nella Veronica l’immagine di quel Cristo che spera di incontrare presto dopo la morte.
Tra i tanti componimenti letterari che parlano di pellegrini e del pellegrinare è da menzionare senz’altro anche la “Lauda dei pellegrini” di tale Bastiano da Poggibonsi, di cui si conosce ben poco salvo la sua origine, il fatto che visse nel XIV secolo, che era sicuramente una persona colta, come rileva la studiosa Diana Fusi Borelli dal fatto che nel suo componimento fa uso di diverse figure retoriche, e che fu seguace del beato Giovanni Colombini da Siena, fondatore dell’ordine dei Gesuati.
Il Colombini era stato un ricco mercante di drappi e stoffe con sede a Siena e anche a Perugia, aveva ricoperto diverse cariche pubbliche, poi, nel 1355, decise tuttavia di lasciare tutte le sue ricchezze ai poveri, colpito forse dalle immagini del flagello della peste e dai disordini seguiti in Siena contro il governo dei Nove, per seguire una vita di penitenza e preghiera quasi francescana, che lo portò a schierarsi duramente contro i potenti della sua città e le ingiustizie sociali. Questo gli valse il bando dalla città di Siena con l’accusa di essere un eretico e un sobillatore del popolo. Ma nel 1367 il Colombini, a Viterbo, ottenne dal papa Urbano V il permesso di dar vita ad una congregazione religiosa, quella, appunto, dei Gesuati, di cui fece parte anche il nostro concittadino Bastiano, autore della lauda citata.
La lauda è un componimento poetico di argomento sacro che si ispira alla ballata profana, di argomento laico e a volte licenzioso, e spesso ne ricalca la struttura metrica. Nel sec. XIII la confraternita dei “Disciplinati” di Perugia fu solita accompagnare i propri riti di flagellazione collettiva con canti corali nei quali alla voce solista si alternava poi un coro. Jacopone da Todi fu in tale secolo autore di numerose e celebri laudi, ma molte di queste restano tuttora di autore ignoto. Componimenti quindi, non solo letterari in senso stretto, ma destinati anche ad essere musicati, cantati o ballati.
I temi presenti nella “Lauda dei pellegrini” di Bastiano da Poggibonsi, scritta in versi ottonari trocaici [di otto sillabe, con accento sulle sillabe dispari], sono temi che potremmo definire di carattere francescano, come osserva la Borelli: povertà, letizia nelle sofferenze, fede incrollabile di “trovarci un dì contenti”, la vita come pellegrinaggio, ma anche come battaglia, come attesa della morte, che “è vita a chi ben vive”. La vita terrena è cioè per Bastiano una battaglia, che va affrontata con letizia, dal momento che “l’armarsi è cosa vana, il cuoprirsi a piastra o maglia”.
Questo il testo della Lauda
Povertà, fatiche e stenti,
Santo freno e casta vita
Trist’e lieta nostra gita
Fan per neve, pioggie e venti:
Pellegrini qual vedete,
Circondiamo ogni confino
Patiam freddo, fame, sete,
Non ci piace acqua nè vino,
lncert’ è nostro camino.
Benchè il Verbo seminando
Duole alquanto la partita;
Pur speranza assai ne aita
Di trovarci un dì contenti.
Morte è Vita a chi ben vive,
Vita è morte a chi mal muore,
Vita è morte di ben prive
Pien d’affanni e di dolore
Ciascun lievi a Dio suo cuore.
Lieti siamo e mal contenti
Alla morte ce n’andiamo.
Morte, morte è il termin posto
Hor ci siamo, hor non ci siamo
Hor siam presso, hor siam discosto;
Chi va tardi e chi va tosto:
Chi va in gaudio, e chi ‘n tormenti
Noi andiam sempre cantando;
Perché a noi la mort’ è vita
E sarem sempre gaudenti
E la nostra vita humana,
Un conflitto, una battaglia,
E l’armarsi cosa vana,
Il cuoprirsi a piastra, o maglia
Chi vuoi’ arme che gli vaglia
Di morir che si ramenti,
Quant’è stolto ognun che nasce
E mai pensa di morire,
In el ventre e nelle fasce
Vediam questo e quel perire,
Però noi nel stare a gire
Al morir siam sempre intenti.
(V. M.Minghi: “Poggibonsi, i personaggi storici” 1996; Burresi-Minghi: “Poggibonsi dalla distruzione di Poggiobonizio al ‘700” 2018; Diana Fusi Borelli: “La Lauda dei pellegrini e Bastiano da Poggibonsi, in Misc.Stor. Valdelsa 2002)
Nell’immagine: Chiesa di S.Andrea a Papaiano, S.Rocco in veste di pellegrino, con il bordone, la conchiglia, simbolo di coloro che andavano a Santiago di Compostela e che serviva anche per attingere acqua, ed il petaso, mantello a mezza gamba, detto poi in suo onore “sanrocchino”.