Divertente e pungente, Antonio Cornacchione racconta, con le dovute libertà narrative, la vera storia della D.E.O., Divisione Elettronica Olivetti, accompagnandoci con leggerezza nelle sue memorie da impiegato, alla scoperta dei ricercatori eroici che portarono l’elettronica italiana a competere nel mondo.
Com'è nata l'idea di questo progetto?
“L’idea è nata perché io lavoravo alla Olivetti e questa storia della macchina Perottina aleggiava, era una sorta di leggenda. Adriano Olivetti è rimasto un mito, la cui storia è molto conosciuta anche oggi, mentre quella della Perottina no e allora mi sembrava che valesse la pena raccontarla. Forse volevo anche chiudere i conti con quel periodo della mia vita, che non è stato breve, perché sono stati più di 8 anni. Se non la racconto io chi la deve raccontare?”.
Da dove vengono le informazioni dello spettacolo? Come le ha trasformate in un'esperienza teatrale?
“Arriverò con i libri in scena, così le persone potranno vedere da dove ho preso le informazioni. Ovviamente non c’ero a quei tempi, parliamo degli anni Cinquanta. Se qualcuno volesse mai andare a verificare o fare delle ricerche potrà farlo. Succede spesso infatti che gli spettatori, dopo, mi chiedano “Ma com’è possibile?”, “Dove l’hai letto?”, allora io mi porto i libri dietro. Anche perché sul palco leggerò alcune dichiarazioni o brani tratti da questi volumi, proprio per far capire che è una storia vera, non un’interpretazione, alla quale si aggiunge il mio racconto personale della mia esperienza”.
In che modo la storia della Olivetti e della D.E.O. può fornire insegnamenti o ispirazione per le sfide attuali che affrontiamo nella società e nell'industria?
“Io credo che serva per capire che in questi anni di mancanza di occupazione e di sovranismo non si può parlare di lavoro se non c’è dall’altra parte un’industria che è all’altezza. In quegli anni sono state fatte delle scelte che, purtroppo, paghiamo ancora oggi. Lo dice anche Perotto quando gli viene chiesto se è stata una classe dirigente non all’altezza o si sono venduti agli interessi stranieri. Lui risponde: “No, secondo me è stata solo incompetenza”. E qui parte il dibattito”.
C'è un messaggio specifico che vorreste trasmettere al pubblico di oggi?
“C’è bisogno di persone lungimiranti che sappiano andare al di là dello scontro tra classi sociali, ma che riescano a guardare il futuro, com’era Adriano Olivetti. Lui veniva peraltro criticato con tono paternalistico e accusato di evitare ogni conflitto sociale, ma secondo me era un commento ingeneroso perché lui non solo ha fatto tanto per gli operai, ha fatto tanto proprio per l’industria”.
La sua esperienza quando lavorava in Olivetti come è stata?
“Ero ingegnere e lavoravo in amministrazione. Francamente non mi ricordo più quello che facevo”.
C’è qualcuno della famiglia Olivetti che ha visto lo spettacolo?
“Sono stato molto fortunato, perché quando l’abbiamo fatto al Parenti di Milano tra gli spettatori c’era il figlio di Mario Tchu, ingegnere elettronico di origine cinese di cui racconto la storia. Adriano Olivetti era avanti anche su questo: negli anni Cinquanta aveva risolto il problema del multiculturalismo. Oggi ad uno così non gli daremmo la cittadinanza, invece a lui era stato affidata la guida del laboratorio di ricerca elettronico. Il figlio mi ha confermato che i fatti riportati e gli aneddoti erano corretti ed era molto contento. Poi è venuta anche la nipote di Adriano Olivetti… sono soddisfazioni!”.
Cosa ti aspetti dalla prima regionale a Certaldo giovedì 16 Novembre? Quali sensazioni o emozioni pensi che il pubblico porterà con sé dopo aver visto lo spettacolo?
“È difficile prevedere come si sentiranno le persone dopo, credo però di poter dire che vedranno sicuramente un altro Cornacchione. Si ride, ma non solo”.